        In Gara 2 a Phillip Island, complice il ritiro di Toprak Razgatlioglu, unico a tenere testa in Gara1 alle Ducati, la casa di Borgo Panigale ha piazzato ben sei V4 R nelle prime posizioni lasciando ai rivali solo le briciole. Ducati in passato ha per&ograve; fatto anche di meglio, ecco come e quando. Razgatlioglu tuona: "&Egrave; una Coppa Ducati, potrei lasciare la SBK"  Le accuse di Toprak Razgatlioglu Il pilota turco al termine del primo round stagionale ha espresso il proprio parere sull&rsquo;elevata competitivit&agrave; della Panigale V4 R in mano a praticamente tutti i piloti: &ldquo;Quest&rsquo;anno tutte le Ducati erano davanti e questo non &egrave; normale.&nbsp;Per questo dico che sembra una Coppa Ducati pi&ugrave; che un Mondiale&rdquo;. Minacciando di lasciare il mondiale SBK se le cose non dovessero cambiare. Le parole di Toprak Razgatlioglu hanno ovviamente diviso gli appassionati tra chi difende il turco accusando Ducati di &ldquo;uccidere&rdquo; il campionato e chi invece attacca il campione del mondo che nella passata stagione ha sfruttato le superconcessioni per portare a casa il titolo mondiale. Come spesso accade in questi casi la verit&agrave; sta nel mezzo, l&rsquo;attuale regolamento SBK (da diverso tempo ad essere onesti) &egrave; oggetto di critiche tra chi lo vorrebbe pi&ugrave; simile alla vecchia Superstock e chi invece lo vorrebbe molto pi&ugrave; libero come &egrave; stato fino ad una dozzina di anni fa. Su questo argomento ci sar&agrave; tempo e modo di provare ad affrontarlo in maniera costruttiva nel prossimo futuro perch&eacute; dal 2027 le MotoGP con il nuovo cambio regolamentare diventeranno circa 2/3 secondi pi&ugrave; lente su ogni pista avvicinandosi alle prestazioni attuali delle SBK che di conseguenza dovr&agrave; venire rallentata in qualche modo per evitare che diventino pi&ugrave; veloci dei prototipi, main business di Dorna. Quello di cui parleremo &egrave; un biennio 2003-2004 in cui Ducati con l&rsquo;arrivo della 999 F03 monopolizz&ograve; nono solo le posizioni del podio ma l&rsquo;intera top10.  SBK Australia, Bulega: &ldquo;Sportivamente parlando la settimana pi&ugrave; bella della mia vita&rdquo;  Prosegue nella pagina successiva &nbsp; Ducati 999: l&rsquo;ammazza campionati Dopo lo storico duello tra Troy Bayliss e Colin Edwards nel 2001 e 2002 terminato con un titolo iridato a testa, Ducati nel 2003 port&ograve; in pista una nuova, discussissima, moto: la 999 F03. Nonostante il titolo conquistato nell&rsquo;ultima incredibile manche ad Imola da Colin Edwards sulla Honda VTR 1000 SP2, la casa di Borgo Panigale si port&ograve; a casa il titolo costruttori con una classifica di campionato che a fine stagione vedeva ben sei Ducati nella top8 con i soli Edwards e Noriyuki Haga (su Aprilia, quarto) a rompere il dominio Ducati nelle prime posizioni. L&rsquo;arrivo della 999 ed il contemporaneo passo indietro di Honda e Aprilia nel 2003 furono l&rsquo;anticamera del biennio di dominio della casa di Borgo Panigale. Dei quindici mondiali corsi dal 1988 al 2002, Ducati aveva conquistato gi&agrave; undici titoli costruttori e da met&agrave; degli anni &rsquo;90 grazie al proprio programma &ldquo;clienti&rdquo; erano molti i piloti a schierare le moto della &ldquo;serie perfetta&rdquo; in configurazione RS, quella appunto riservata ai privati e non troppo lontane delle prestazioni delle F &ldquo;ufficiali&rdquo;. Con l&rsquo;arrivo della 999 F03 affidate agli ufficiali Neil Hodgson e Ruben Xaus e le &ldquo;vecchie&rdquo; 998 F02 affidate al team HM Plant Ducati, Ducati chiuse il 2003 con 24 successi su 24 manche disputate. Una stagione perfetta che ad &egrave; l&rsquo;unica nella storia della SBK. Il titolo and&ograve; ad Hodgson che precedette Xaus conquistando rispettivamente dodici e sette successi, le 998 F02 passate al team HM Plant Ducati con James Toseland, terzo, e Chris Walker, sesto. La 998 F02 conquist&ograve; anche due successi a Brands Hatch grazie a Shane Byrne, wildcard nel WorldSBK e campione del BSB nel 2003 proprio con la &ldquo;vecchia&rdquo; 998 F02. La quarta posizione in campionato and&ograve; a Regis Laconi con la Ducati 998 RS del team Caracchi NCR Nortel Network a precedere l&rsquo;unico pilota non Ducati nella top10 iridata che, ironia della sorte, &egrave; l&rsquo;attuale Direttore Esecutivo WorldSBK: Gregorio Lavilla. Lo spagnolo sulla Suzuki GSX-R1000 conquist&ograve; sette podi, portando la casa di Hamamatsu sul podio, unica casa a riuscirci oltre a Ducati in quell&rsquo;incredibile stagione che vide anche John Reynolds, wildcard a Brands Hatch e Assen salire proprio in Gara 2 della tappa inglese sul podio portando a 8 i podi della casa giapponese. Il gruppo delle Ducati prosegue poi con il gi&agrave; citato Walker a precedere Pierfrancesco Chili, una vittoria e cinque podi con la 998 RS che gli valgono il settimo posto in campionato davanti a Steve Martin, Lucio Pedercini e Marco Borciani decimo nella classifica iridata. La storia non cambi&ograve; nel 2004 nonostante l&rsquo;arrivo della nuova Honda CBR1000RR che riusc&igrave; a vincere quattro manche nelle mani di Chris Vermeulen, unico ancora una volta a mettersi nelle prime posizioni in una classifica che a fine campionato nelle prime otto posizioni conta addirittura sette Ducati, che diventano 8 in top10 con Troy Corser sulla Petronas FP1 ad infilarsi in nona posizione.  SBK, Augusto Fernandez al posto di Jonathan Rea a Portimao       

Toprak stizzito accusa la Superbike di essere un monomarca per le moto di Borgo Panigale, il dominio della casa bolognese in passato fu ancora pi&ugrave; impressionante

SBK Amarcord: Ducati Cup, nel 2003 nove “rosse” in top10 a fine stagione

        Aprilia &egrave; un marchio glorioso nel Motomondiale, con una quantit&agrave; di titoli mondiali da far invidia a qualsiasi altro costruttore in circolazione. Per quanto abbia vinto in 125 e 250 e abbia lottato per qualche podio in 500, l&rsquo;Aprilia in MotoGP ha corso in due periodi distinti: il primo dal 2002 al 2004 con la meravigliosa e potentissima RS Cube, il secondo, dopo la parentesi aRT dal 2012 al 2014) dal 2015 ad oggi con la RS-GP, moto che nel 2024 ha impedito a Ducati di vincere tutte le 20 gare lunghe della stagione. Nel corso degli anni il progetto della MotoGP di Noale ha cambiato pelle passando prima dalle mani del grande Jan Witteveen insieme a Gigi Dall&rsquo;Igna per poi arrivare a Massimo Rivola e Romano Albesiano. Il nuovo corso per il 2025 con Fabiano Sterlacchini, Jorge Martin e Marco Bezzecchi e con il team Trackhouse riuscir&agrave; a portare stabilmente Aprilia a lottare per le prime posizioni in ogni gara? Ecco come &egrave; cambiata nel corso degli anni la moto di Noale  2002-2004: scommessa persa&nbsp;  Prima di arrivare alla nascita della RS Cube &egrave; doveroso fare una premessa. Nel 2001 Aprilia aveva gi&agrave; pronta una sua 500 con il V4 al pari delle altre 500 impegnate fino al 2000, nome della moto RSW 500 V4. Le premesse erano belle, ma poi &egrave; arrivata la &ldquo;mazzata&rdquo; del cambio regolamentare del Motomondiale per la stagione 2002 che imponeva le nuove MotoGP 4T di 990 cc in luogo delle 500. La decisione spiazza i vertici Aprilia, gi&agrave; pronti per il 2001 a correre con la V4 in attesa di lavorare alla MotoGP del 2002. Aprilia, quindi, stoppa il progetto della RSW V4, moto che sarebbe gi&agrave; nata obsoleta rispetto alle altre, e contemporaneamente pensiona la RSW-2 al termine del 2000 prendendosi un anno di pausa dal Motomondiale. Nel dicembre 2001 viene presentata al Motorshow di Bologna la RS Cube, la prima MotoGP di Aprilia, che avrebbe debuttato nel 2002. La peculiarit&agrave; della RS Cube era il motore a tre cilindri, potentissimo per gli standard dell&rsquo;epoca (240 cv all&rsquo;inizio e 260 nell&rsquo;ultimo anno di corse, il 2004). Un motore cos&igrave; potente per&ograve; necessitava di tanta tecnologia, ancora poco utilizzata in MotoGP ma adottata molto in Formula 1: richiamo pneumatico delle valvole, ride-by-wire e frizione in carbonio. Dopo i test effettuati dal collaudatore Marcellino Lucchi, a portare in gara per la prima volta la RS Cube &egrave; Regis Laconi. Nel corso della stagione, vengono a galla tutti i problemi che ha la moto: ciclistica (derivata dalla 500 2T di due anni prima), la moto diventava iperreattiva, difficile da domare all&rsquo;avantreno e da tenere alla corda in curva, la grande potenza del tre cilindri con testate Cosworth, le gomme Dunlop meno prestazionali delle Michelin ed incapaci di gestire tutta la potenza del motore e di un sistema di traction control ancora acerbo. Nel 2003 Aprilia mette mano alla sua RS Cube dopo la stagione di esordio dell&rsquo;anno precedente. La moto viene dotata di un nuovo telaio costruito con una diversa geometria, viene incrementata la potenza e limato qualche chilo al peso complessivo rendendo la moto pi&ugrave; potente e pi&ugrave; leggera, Michelin diventa il nuovo fornitore di pneumatici e tutte le risorse vengono canalizzate sul progetto MotoGP chiudendo il programma SBK a fine 2002. Due sono i piloti che portano in pista la RS Cube evoluta, Colin Edwards e Noriyuki Haga. Come nel 2002, anche nel corso della stagione 2003 emergono i soliti problemi che caratterizzano la moto: motore troppo potente, mancanza di una gestione elettronica efficace per gestire la potenza&nbsp;del&nbsp;motore, ciclistica che rendeva la moto iperreattiva e difficile da guidare sia sul davanti che alla corda della curva. &ldquo;Se il 2002 e 2003 erano di rodaggio, il 2004 andr&agrave; meglio&rdquo; avranno pensato a Noale prima di mettere in pista la moto per la stagione 2004. E invece no, la moto presenta gli stessi problemi delle sue versioni precedenti seppur bella esteticamente con il doppio scarico laterale e la livrea MS. A fine 2004 Piaggio mette la parola fine alla prima avventura dell&rsquo;Aprilia in MotoGP dopo tre anni fallimentari nei quali non &egrave; stato raggiunto nemmeno un podio a fronte dei soldi spesi per progettare la RS Cube e portarla in pista.  MotoGP, Claudio Domenicali: "Valentino Rossi in Ducati fu una grande delusione" Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp; 2015-2016: Aprilia is back in business, ma che fatica!  Piccola e doverosa premessa. Prima del rientro effettivo di Aprilia in MotoGP, un piede Noale lo aveva gi&agrave; rimesso nella Top Class del Motomondiale, dal 2012 al 2015 con la aRT (Aprilia Racing Technology), un prototipo semi-ufficiale iscritto come CRT in quelle stagioni. Finita questa fase di aRT, Aprilia decide che &egrave; il momento di rimettersi in gioco direttamente come costruttore affidandosi per il primo periodo a Gresini Racing. La prima RS-GP portata in pista &egrave; una moto con motore a V4 ed una V di 72&deg;. La RS-GP del 2016 &egrave; tutto sommato una evoluzione di quella del 2015 ma si porta dietro ancora le stesse problematiche della moto dell&rsquo;anno prima: un motore non adatto alla MotoGP e una situazione interna al Reparto Corse di Noale non riassettata dopo l&rsquo;addio di Gigi Dall&rsquo;Igna direzione Ducati.  Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp; 2017-2018: Arriva Aleix Espargar&ograve;, ma latitano gli sviluppi  La RS-GP del biennio 2017-2018 &egrave; un nuovo step evolutivo rispetto a quella del biennio 15-16. Il nuovo DT ora &egrave; Romano Albesiano ma deve dividersi nel doppio ruolo di DT e Direttore Sportivo al seguito della squadra sulle piste del Mondiale. Il risultato &egrave; una moto ancora molto indietro rispetto alle altre MotoGP. 2019: rivoluzione con Massimo Rivola  Il 2019 &egrave; un anno chiave per Aprilia in MotoGP. Entra infatti Massimo Rivola in qualit&agrave; sia di AD del Reparto Corse che di team manager al seguito della squadra. Rivola ristruttura il metodo di lavoro di Noale permettendo ad Albesiano di concentrarsi di pi&ugrave; sullo sviluppo della moto. La RS-GP del 2019 cambia radicalmente rispetto a quella degli anni prima, a cominciare dal motore che si presenta con una V di 90&deg; invece di quella stretta (72&deg;) dei primi esemplari e curato da Luca Marmorini, oggi in Yamaha. Il motore risulta pi&ugrave; leggero, pi&ugrave; equilibrato e meglio sfruttabile dai piloti. Le prestazioni iniziano a crescere, nonostante zero vittorie e zero piazzamenti sul podio MotoGP, Marc Marquez lascia Red Bull ma non sar&agrave; uomo Monster Energy 2020-2024: la vera Aprilia!  Se dal punto di vista del motore non vengono apportate sostanziali novit&agrave;, la RS-GP si fa riconoscere negli anni per il design generale della moto ed anche la cura nei dettagli dal punto di vista aerodinamico, anticipando spesso soluzioni che poi verranno copiate da altri costruttori, come ad esempio l&rsquo;alettoncino posteriore testato per un GP d&rsquo;Italia degli ultimi anni e poi ripreso anche da KTM, l'holeshot all'anteriore e lo scalino per l'effetto suolo, provato da Savadori a Sepang nel 2023. Il periodo 2020-2024 a livello sportivo &egrave; stato il migliore di Aprilia nel suo viaggio in MotoGP: podio a Silverstone nel 2021, vittoria in Argentina nel 2022, vittoria a Silverstone nella gara lunga doppietta a Barcellona nel 2023, vittoria di Maverick Vinales in America nel 2024.        

Dalla scorbutica tre cilindri ad una delle moto pi&ugrave; semplici da guidare, tremendamente efficace in situazioni di piste con poco grip

MotoGP, dalla RS Cube all’attuale RS-GP: com’è cambiata l’Aprilia?

        Tutto o quasi &egrave; pronto a Donington Park, per il quinto round del mondiale Superbike. Un appuntamento che potrebbe sorridere a BMW, che proprio in Gran Bretagna ha colto nel 2012 il suo primo successo nelle derivate, grazie a Marco Melandri. L&rsquo;italiano &egrave; attualmente il pilota con pi&ugrave; vittorie &ndash; nove &ndash; nella storia della casa tedesca, ma gi&agrave; questo fine settimana Toprak Razgatlioglu avr&agrave; la possibilit&agrave; di raggiungerlo.  Toprak infatti &egrave; a quota sei, dunque con una tripletta potrebbe scrivere una nuova piccola pagina di storia. Con una doppietta invece il turco raggiungerebbe un traguardo particolare, ossia superare per numero di successi la Francia, che con tutti i suoi rappresentanti &egrave; attualmente ferma a 45 ((Raymond Roche 23, Regis Laconi 11, Sylvain Guintoli 9, Loris Baz 2, Adrien Morillas 1). Bautista insegue Davies e Fogarty  Passando a Ducati, la casa di Borgo Panigale &ldquo;festeggia&rdquo; quest&rsquo;anno il decennale dell&rsquo;ultima pole ottenuta a Donington, datata 2014 con Davide Giugliano. Questo digiuno potrebbe essere interrotto da Alvaro Bautista, che va a caccia di un podio per fare 99 e raggiungere Chaz Davies al 7&deg; posto nella classifica dei piloti con il maggior numero di podi. Lo spagnolo ha nel mirino anche Carl Fogarty, il pilota con pi&ugrave; podi per Ducati &ndash; 100 &ndash; in Superbike, dato che in sella alla rossa Alvaro ne conta ora 95. Traguardi importanti in vista anche per Michael Rinaldi e Alex Lowes. Con la Superpole Race di domenica infatti il romagnolo toccher&agrave; quota 200 partenze in SBK, diventando il 20&deg; pilota a raggiungere tale numero, mentre in Gara 2 l&rsquo;inglese diverr&agrave; il 6&deg; con almeno 300 partenze in categoria. Il WorldWCR fa tappa a Donington, con la Herrera a punteggio pieno       

Il turco con una tripletta raggiungerebbe Marco in cima alla classifica dei piloti pi&ugrave; vincenti con BMW. Alla casa bolognese manca la pole in UK dal 2014, grazie al romano

SBK Donington: Toprak ha nel mirino Melandri, Ducati ferma a  Giugliano

        Ah, il sorpasso, gesto sublime dello sport che, applicato alle due ruote, &egrave; addirittura da considerarsi forma d'arte. Superare l'avversario - o gli avversari - non &egrave; affatto semplice a bordo di una motocicletta, perch&eacute; bisogna sommare la volont&agrave; dell'attaccato di resistere all'attaccante, oltre al limite di moto, gomme e pista. Uscire dai confini e ritrovarsi nelle vie di fuga &egrave; atto da evitare e, nell'elenco ivi proposto, si tiene conto del puro talento citano, indipendentemente dai titoli vinti o non vinti. Esempi di fuga solitaria quali Giacomo Agostini e Freddie Spencer, tralasciati, spiegano il senso dell'articolo. Calendario MotoGP 2024 Phil Read, il "cattivo" britannico Veniva ricorcado con epiteti e soprannomi poco lusinghieri, tuttavia - dicono - calzanti al personaggio. Phil Read passava da "filo di ferro" a "figlio di buona donna", proprio perch&eacute; quando decideva di entrare, se ne infischiava di eventuali contatti e carenate. Anzi, a dispetto del pericolo, l'inglese provava addirittura compiacimento nel sentire carene e corpi altrui picchiare contro la propria moto o, perch&eacute; no, ginocchia e braccia. Con la Yamaha il nativo del Bedfordshire faceva un po' paura, ma con la MV Agusta incuteva reale timore. Ecco il motivo per cui chi lo ha conosciuto, lo ricorda previo grosso rispetto.  Loris Capirossi, tutto o niente Puro "racer", Loris Capirossi faceva del coraggio una delle sue principali qualit&agrave;. Espressosi ad alto livello immediatamente in 125, competitivo in 250, in crescita nella 500, poi tornato in dueemmezzo, ancora nella mezzo litro, infine in MotoGP. Due o quattro tempi? No problem per&nbsp; Capirex, originario a mezzo passo da Imola, circuito dove si impara davvero a superare il nemico, ops, l'avversario. Il numero 65, iconico, ha messo in pista un cuore enorme, al pari di attributi cos&igrave;. Andando anche incontro a episodi come il contatto condiviso con Tetsuya Harada in Argentina nel 1998, uscendone con alloro di classe e ragioni del caso.  Valentino Rossi, l'attimo fuggente Da dove cominciamo con Valentino Rossi?! Jerez 2005 MotoGP, tamponamento sferrato a Sete Gibernau all'ultima curva a precedere la bandiera a scacchi?! S&igrave;, episodio rimasto in cima alle visualizzazioni per anni. Vi &egrave; piaciuto l'ingresso&nbsp; - con divagazione nella via di fuga, &egrave; giusto ricordarlo - di Laguna Seca 2008 ai danni di Casey Stoner?! Fantastico. Per&ograve;, vista da qui, in quanto a pulizia e correttezza della manovra, nulla supera (gi&agrave;) Barcellona 2009. Tornata finale del Gran Premio di Catalunya, pochi metri da completare e traguardo in vista, piega destrorsa e veloce fino al "zac", fendente improvviso, che ha lasciato il maiorchino di sale e battuto. Uno dei sorpassi pi&ugrave; belli di sempre.  Marc Marquez, il "menefreghista" Malgrado critiche, insulti e quant'altro, Marc Marquez &egrave; rimasto e rimarr&agrave;, pensiamo, s&eacute; stesso. Che vuol dire? Vuol dire che non gliene cale granch&eacute; di aver "imitato" Valentino Rossi a Jerez, ancora su Jorge Lorenzo nel tornante dedicatogli, lo stesso dove Sete Gibernau pat&igrave; il colpo.&nbsp; Chissene se anche a Laguna Seca ha fatto come il numero 46, prpprio sul numero 46. MM93 piace cos&igrave; com'&egrave;, temerario e costantemente al cento per cento. Altrimenti, non sarebbe l'asso che conosciamo. A proposito di sorpassi, micidiale le imprese in Moto2 di Phillip Island 2011, dalla casella 38 al terzo gradino del podio, Giappone 2012, da ventinovesimo a primo, Valencia dello stesso anno, dalla trentatreesima posizione alla vittoria.  John Surteess, 2 o 4 ruote? No problem Questo era bravo davvero, poich&eacute; capace di farsi largo e vincere sia nel Motomondiale che in Formula 1. Sir John Surteess, Signore &amp; Signori, vero gentleman fuori dai cordoli e tremendo tra i cordoli stessi, per sorpassi compiuti con due o quatto ruote, a prescidere. Riprendere le misure tra una tipologia di veicolo e l'altra &egrave; cosa per pochi, lui ci &egrave; riuscito bene. Il pilota britannico &egrave; inserito tra i migliori di sempre, certo in virt&ugrave; dei risultati ottenuti, al pari delle capacit&agrave; di adattamento da mezzi meccanici assai differenti e comunque condotti al limite.  Kevin Schwantz, il visionario texano Potrebbe bastare l'entrata su Wayne Rainey, e il paragrafo su Kevin Schwantz sarebbe bell'e completo. Invece no, anche se quella classe 500 edizione 1991 e l'ingresso al Motodrom di Hockenheim restino - probabilmente - la quintessenza della guida esibita dal texano, che a volte immaginava di andare lungo, per poi frenare all'ultimo istante e oltre. Staccata a una mano destra, piede del medesimo asse a pestare il posteriore, avantreno infossato, retrotreno balzellante a destra e manca. Teoricamente, una dinamice del genere si conclude con un lungo, oppure, con una curva affrontata a bassa velocit&agrave;. Macch&eacute;, la Suzuki numero 34 tenne dietro la Yamaha campione del mondo, annichilendola al traguardo.  Michael Doohan, l'essenziale Preferiva inscenare la fuga ma, quando era necessario, sapeva superare deciso. Michael Doohan ha compiuto pochi sorpassi in carriera, perch&eacute; nelle stagioni valevoli di iride, costruiva praticamente sempre le vittorie partendo in pole e concludendo in testa. Ma parliamo di un australiano che sapeva sorpassare, altroch&eacute;. Per&ograve;, preferiva pensarci una volta, poi mai pi&ugrave;. Per lui duellare e scambiare posizioni reciprocamente, si trattava di tempo perso. A meno che non si trovasse in compagnia di John Kocinski, Wayne Rainey, Kevin Schwantz e Alex Criville. B&egrave;, no: lo spagnolo viene ricordato meno volentieri: ricordate Eastern Creek 1996? La Honda tir&ograve; a terra una seconda Honda, che poi era la prima. Ne giov&ograve; Loris Capirossi.  Regis Laconi, il selvaggio francese Era italo-francese, per la precisione. Regis Laconi, con origine sarde ma nato a Saint Dizi&egrave;r, sapeva sorpassare, quasi sempre con il posteriore in salto e ruota a 25 centimetri da terra. Sapete una cosa dl lui? Riusc&igrave; a vincere una gara in 500 a Valencia nel 1999 e in pi&ugrave; occasioni della differente SBK. Gli &egrave; mancato un pizzico per titolarsi, ma attenzione al dato: nel Curvone Biassono di Monza, a bordo della Ducati 999, deteneva il record di velocit&agrave; in percorrenza: qualcosa come 271 chilometri orari rilevati all'uscita, che precedeva la Variante della Roggia, affrontata comunque rapidamente.  Anthony Gobert, interno ed esterno Gli avran pur dato del "matto", ma era un manico esagerato, capace di oltrepassare limiti meccanici e della fisica. Anthony Gobert, australiano approdato in Europa e andatosene lasciando il segno, in doti di guida secondo era a nessuno. Poi, s&igrave;, esagerava, ma perch&eacute; indomito e sprovvisto di una solida strategia. Per lui il sorpasso era pi&ugrave; importante del risultato finale, che fosse compiuto all'interno o all'esterno, come se la questione fosse contro l'avversario e non in termini di classifica. E lo era. Il "Go Show" dur&ograve; poco, per&ograve; bene: se ne ricordano Aaron Slight in SBK e Darryl Beattie in 500.  Carl Fogarty, inglese in stile Tourist Trophy Dunque, lui stesso lo ha ammesso, per&ograve; anni dopi non esserci pi&ugrave; andato: il Tourist Trophy &egrave; gara bella, per&ograve; folle. Quanto &egrave; passato definitivamente ai pi&ugrave; sicuri cordoli accompagnati da vie di fuga, Carl Fogarty non si &egrave; pi&ugrave; voltato, come se alle sue spalle fosse stato creato un vuoto. E in gara gli piaceva fare cos&igrave;, bench&eacute; fosse pronto tutto pur di superare. Basterebbe chidere a Pierfrancesco Chili, oppure a Lothar Kraus, doppiato e ritrovatosi in traiettoria del Re britannico. Si trattava di Nurburgring SBK 1999, finita in successo per l'inglese, e caduta per il tedesco, buttato gi&ugrave; senza piet&agrave;, e la foto lo spiega: che cavolo ci facevi l&igrave; in mezzo?!&nbsp;  Brad Binder, l'aerodinamico I piloti giurano come sia impossibile o difficilissimo effettuare sorpassi nell'attuale MotoGP, in quanto pesantemente condizionata da elettronica, aerodinamica e gomme uguali per tutti. Sar&agrave;, ma Brad Binder interpreta la categoria "al contario", ovvero, saltando i rivali spesso e volentieri. E lo fa di traverso, azione ancor pi&ugrave; difficile, proprio perch&eacute; la volont&agrave; di telaio e alettoni sarebbe di mantene ruota anteriore e posteriore sullo stesso asse. Il sudafricano, vero talento a servizio della KTM, &egrave; uno dei protagonisti pi&ugrave; divertenti da ammirare.  Troy Bayliss, lo squarciagole Il mitico Giovanni DI Pillo lo ammise ripetutamente: "Ho urlato tanto nelle mie telecronache, ho rischiato di perdere la voce, ma Troy Bayliss mi fece esagerare, specialmente a Monza 2000. Saltar a pi&egrave; pari gente del calibro di Frankie Chili, Akira Yanagawa, Noriyuki Haga e Colin Edwards". Giusto, come &egrave; vero che l'australiano ha poi correttamente impostato le traiettorie della Prima Variante, a dimostrare la misura per mezzo della quale salt&ograve; gli avversari. Per il "carrozziere" della SBK Monza era una novit&agrave;, e un conto &egrave; sopravanzare un avversario, un conto &egrave; farne fuori quattro.         

Indipendentemente da vittorie e non, i nomi elencati detengono doti fuori dal comune nel superare i rivali

I "Sorpassatori" più feroci del Motociclismo

        Betty Curtis cantava "Soldi Soldi Soldi", brano canoro evidentemente su tematiche monetarie. Al secolo Roberta Corti, l'artista spiegava come sia il denaro a muovere tutto e meglio, umore altrettanto. Funziona cos&igrave; anche nel Motomondiale? B&egrave;, s&igrave;, perch&eacute; chi dispone di maggior budget (solitamente, seppur non sempre) arriva prima degli avvesari ai risultati sperati. Chi ha speso di pi&ugrave; dalla nascita del mondiale a oggi? Ecco una lista includente competizioni a due e quattro tempi. Attenzione tuttavia alle cifre, ovviamente sommarie e, considerando epoche diverse, inflazioni varie e valori di acquisto, non paragonabili l'una con l'altra. &nbsp; HRC: budget (a volte) illimitato tra 125, 250, 500 e MotoGP L'immagine di copertina dice quasi tutto: classe 500 edizione 1997, al comando del Gran Premio di Italia disputatosi al Mugello abbiamo ben 4 Honda NSR, tutte marcate Repsol HRC. Col numero 1 Michael Doohan affronta il Correntaio a precedere la tabella 7 di Tadayuki Okada, mentre Alex Criville col 2 e Takuma Aoki e il 24 si contendono la terza posizione. Il team di riferimento dell'Ala dorata ha tre quattro cilindri e la bicilindrica. Nessuna formazione ufficiale poteva tanto.&nbsp; Uno sforzo immenso, vincente, in parte ammortizzato dalle voci sponsor, dalle vendite delle moto alle squadre clienti e dai premi e contributi TV, ma impareggiabile dai competitor, per un concetto che nasce proprio dal reparto corse: investire a fondo illimitato, sfruttando i grossi valori di vendita a due, quattro ruote e ogni tecnologia prodotta in Giappone. Dall'ingresso diretto nel Motomondiale, Honda ha speso tanto in 125 e 250, per cifre (dicono) incalcolaboli e top secret, per&ograve; palesemente superiori alla concorrenza. I rumors giurerebbero in almeno dai 70 agli 80 milioni di euro a stagione dedicati al progetto RC213 V. Solo il periodo pandemico, un ridimensionamento generale degli introiti destinati poi alle corse risultati assolutamente scoraggianti hanno fatto stringere la cintura ai vertici di Tokio i quali, ricordiamolo, "risparmieranno" previa partenza di Marc Marquez, pilota che si faceva pagare profumatamente e, perlomeno nella MotoGP recente, pi&ugrave; di tutti.  &nbsp; Yamaha, prima rivale Honda... a soldi spesi Una sessantina di milioni l'anno, euro pi&ugrave;, euro meno, ma quando in pista scendevano almeno quattro M1 e non le sole due Monster Energy viste nel 2023. Anche Yamaha ha messo soldi nelle corse, facendo leva su vendite dei modelli stradali, uomini immagine quali Valentino Rossi, risultati, sponsor e idee azzeccate.&nbsp; Successi in duemmezzo finch&eacute; si &egrave; corsa, allori in 500, trionfi in MotoGP. Senza dimenticare il panorama "derivato di serie", in cui pure Honda &egrave; da citare: tra prototipi e SBK, immaginate quanti bonifici siano stati inoltrati, e non sempre hanno ricevuto corrispettivi di classifica a pareggiare gli investimenti. Malgrado si dica che i giapponesi partecipino alle competizioni controvoglia, precisiamo subito come non sia vero. Se vogliono uscire, lo fanno. Ricordate Suzuki nel 2022?&nbsp;Oppure Honda in Formula 1? Ebbene, i tre diapason offrono prodotti di vario genere, da pianoforti a chitarre, per un bacino enorme di introiti. S&igrave;, poi il budget per la MotoGP &egrave; diverso, ma l'azienda &egrave; sana e pronta a raddoppiare le moto in pista.&nbsp;  &nbsp; Kawasaki, pochi anni ma tanti soldi per la MotoGP Galvanizzata dal grosso ritorno di immagine goduto in SBK, "chiamata alle armi" dalle sorelle giapponesi lanciatesi verso la MotoGP, Kawasaki torn&ograve; nel mondiale in pianta stabile nel 2003, allestendo una Ninja ZX-RR ammirata per colore e scelte tecniche, criticata per gli ordini di arrivo in gara. La situazione miglior&ograve; lievemente di stagione in stagione, ma arrivare a quanto fatto da Honda, Yamaha e Suzuki risult&ograve; impossibile. E fu un peccato, perch&egrave; di soldi ce ne erano, "presi" dalle grosse opere costruttive e dagli enormi appalti detenuti dall'azienda, una Holding che realizza scavi nel mare, treni e comanda impianti siderurgici. Quindi, "il grano" era disponibile, ma il mulino male lo lavorava, stando ai quotes raccolti e alle dichiarazioni degli addetti ai lavori. Peccato alla seconda, anche in virt&ugrave; dei titoli vinti in SBK, delle affermazioni firmata da Kork Ballington in 250 e 350. Quando hanno stabilito che i prototipi della classe regina non rientravano nella filosofia del Marchio, addio e saluti a tutti. Sperando che sia un arrivederci ad aggiungersi ai 50 miloni di euro gettati ogni anno.&nbsp;  &nbsp; Sogno in rosso come i conti? Cagiva, la "romantica" della 500 Ogni volta che viene pubblicata una foto di John Kocinski in azione con la Cagiva, si sprecano commenti sulla prestanza dell'americano su quel prototipo. Come dar torto ai pi&ugrave; caldi appassionati, al cospetto di una Rossa - ebbene s&igrave;, non si offenda chi porta il medesimo colore - del genere?! Oltretutto, fateci caso, quella e le altre 500 varesine erano sprovviste di main sponsor. La famiglia Castiglioni fu chiara: sulle carene deve imperara la scritta "Cagiva", e nessun pu&ograve; deturpare la tinta. Fantastico, romantico, ma costoso. Anche perch&eacute; gente come Kocinski, Doug Chandler e Randy Mamola si fece ben retribuire. Eh gi&agrave;. Totale, quando l'azienda decise di investire in SBK sulla 916 - creando il mito di Carl Fogarty - niente pi&ugrave; mezzo litro, n&egrave; i 10 milardi di lire (bei tempi per l'Italia e la propria valuta) spesi all'anno. La classe regina avrebbe creato debito, poich&egrave; impossibile fronteggiare i colossi nippo. Per&ograve;, che soddisfazione averli battuti di tanto in tanto...  &nbsp; Tira &amp; molla Suzuki, ma quando i soldi sono spesi, arrivano le vittorie Test classe 500, inverno e non distante dalla primavera 1999. C'&egrave; rimasta impressa questa frase pronunciata da Kenny Roberts Junior, a cui dedichiamo relativa foto: "La Suzuki ci ha spedito tanto di quel materiale, che io e Nobu Aoki non sappiamo se riusciremo a provarlo tutto". Il californiano aveva lasciato Kenny Senior, per approdare alla corte di Hamamatsu, a cui port&ograve; l'alloro nel 2000. Si accorse subito che i dollari venivano spesi per lo sviluppo della RGV, nella volont&agrave; di pareggiare quanto fatto nel 1993 da Kevin Schwantz, sempre nel medesimo team gestito da Garry Taylor. Le imprese italiane di Marco Lucchinelli e Franco Uncini? Meravigliose! Ma la Casa voleva adeguarsi ai tempi. E lo fece anche in MotoGP, grazie al titolo vinto da Joan Mir nel 2020. A oggi l'ultimo della storia Suzuki, protagonista in 250, trionfante nella mezzo litro, finalmente sul tetto della MotoGP. Il Marchio era gi&agrave; uscito dal paddock, poi rientrato pi&ugrave; volte. Torner&agrave;? Noi diciamo "s&igrave;", confidando da chi sostiene che all'epoca a due tempi erano 20 milioni di dollari spesi l'anno, in MotoGP vennero sfiorati i 50. Salvo essere smentiti. A proposito: durante l'epopea GSV-R quattro tempi, lo stesso Roberts spar&ograve; di fronte ai giornalisti: "Mi pagano cos&igrave; tanto, che una parte dei miei guadagni potrei buttarla".&nbsp;  &nbsp; Ducati, spende in MotoGP e ha ragione nel farlo Foraggiata dall'acquisizione da parte di Audi, Ducati ha impostato una politica vincente in MotoGP, attuata pure in SBK: motociclette belle, competitive, vendute a prezzi ragionevoli. Mica sar&agrave; un caso vedere sulla griglia ben 8 Desmosedici, tutte competitive. La Casa di Borgo Panigale produce moto. Non &egrave; Honda, Suzuki, Yamaha e Kawasaki. Suzuki costruisce pure auto e barche. Per esempio. Ducati no. Quindi, ogni soldo &egrave; ponderato e speso in maniera oculata. L'ingresso in MotoGP risale al 2003, immediatamente rivelatosi intelligente e promettente. Il primo titolo arriv&ograve; nel 2007 insieme a Casey Stoner, qui in basso immortalato. Ancora vittorie di tappa, sino al dominio attuale. Seppur sotto effige "Top Secret", sar&agrave; attendibile il budget ventilato di 50 milioni all'anno?&nbsp;  &nbsp; KTM e Pierer Group possono spendere in MotoGP La presenza nel Motomondiale siglata KTM &egrave; da ritenersi giovane, se paragonata alla storia di - altro esempio - Honda. Fortissima in 125 e 250, altrettanto in Moto2, eccola in MotoGP. Una volta messo in piedi un vero team Factory, sono arrivate le gioie. A suon di denaro, parliamoci chiaro. Il Gruppo Pierer Mobility e Mattighofen possono permetterlo, poich&eacute; grandi venditori di pezzi fuoristrada e detentori di vari Marchi, tra cui GASGAS e KTM. I vertici vorrebbero in griglia sei RC16, non quattro. E vi arriveranno. Magari, mediante la scritta MV Agusta, altra Casa ad aver scritto pagine indelebili nelle competizioni. Il budget messo a disposizione del progetto Red Bull - la bevanda energetica ci mette del proprio - supera i 50 milioni annui. E la voglia di far vedere a tutti la bont&agrave; tecnologica profusa.  &nbsp; Aprilia, "cenerentola" MotoGP di tutto rispetto Anche qui, bisogna essere franchi: in un determinato periodo storico, Aprilia e piloti supportati avevano pochi rivali in 125 e 250. Le vittorie portate a Noale si sono sprecate "consumando" la pazienza altrui. Arriv&ograve; anche la 500, in realt&agrave; una bicilindrica sotto la cubatura massima, bella, ma saltuariamente al passo con le mezzo litro piene. Ed eccoci alla MotoGP, ricordate la RS Cube? Regis Laconi - meritevole di scatto - la port&ograve; al debutto, e ci accorgemmo di quanto fosse tecnologica la tre cilindri: forse troppo e, per stessa ammissione di Ivano Beggio, costicchiava. Saltando all'attuale e portentosa RS-GP, il discorso cambia. Aprilia si fa praticamente tutto in casa, demandando ad aziende esterne il minimo indispensabile. Parliamo di un vanto italiano, spinto dal Gruppo Piaggio, questo s&igrave; un colosso in termini di vendite in tutto il mondo di pezzi originali e comprovati. Il budget riservato al team &egrave; segreto, ma senza fatica lo stimiano sotto a quanto messo dalle rivali. Che soddisfazione mettersele dietro.  &nbsp; Kenny Roberts: persa la Marlboro, cominiciarono i guai L'ambizione di Kenny Roberts &egrave; tutt'oggi nota: vincere, massimizzando i mezzi a propria disposizione. Lasci&ograve; Yamaha al seguito di successi nelle vesti di pilota e team manager - anzi, proprietario - aprendo il team dotato di tre cilindri Modenas, pagato dalla multinazionale del tabacco. Benino con le due tempi, nonostante qualche rottura sarebbe stata da evitare, insieme a infortuni di chi guidava. Il propulsore grippava, sparando in aria i malcapitati. Stantacatasi della scarsa competitivit&agrave;, l'azienda sponsor decise di spostare capitali altrove. Ma in MotoGP. E lui, tra una avventura e l'altra, mica si arrese: il californiano mise addirituttura in pista un motore KTM incastonato in telaio artigianale, ammirabile nella tabella 67 di Shane Byrne. Coppe, trofei, podi, pole? Macch&eacute;, nulla di ci&ograve;, anzi: un cosiddetto "bagno di sangue", per fortuna solo monetario e, al pari di Honda per&ograve; al contrario, incalcolabile.&nbsp;  &nbsp; Kalex spende in Moto2 ma... guadagna Questo atelier tedesco si occupa di chassis, ovvero, telai. E lo fa molto bene, tanto da tenere quasi - bravo il team Speed Up e buono Forward - la totalit&agrave; di fornitura della Moto2. La bont&agrave; delle realizzazioni &egrave; stata apprezzata anche dal team Repsol HRC in MotoGP e, se i risultati non sono arrivati, i motivi sono pi&ugrave; complessi di un semplice pezzo. La strategia Kalex &egrave; semplice e chiara: vincere spendendo, guadagnando. Fornendo parti alla griglia della middle class, torna negli investimenti messi in campo, addirittura concludendo le annate col segno pi&ugrave;. Ottimo segnale, per una fabbrica che non ha dimensione esagerate. Come HRC, per esempio. Oppure, come spiegato dal saluto condiviso da Remy Gardner e Augusto Fernandez, bello &egrave; figurare per KTM, se il tealio &egrave; in realt&agrave; un Kalex. Quanto durer&agrave; l'avventura di Kalex, non lo sappiamo. Pi&ugrave; che altro, la domanda &egrave;: quanto sarebbe bello rivedere pezzi artigianali nella categoria regina a quattro tempi? Per come si &egrave; messa la situazione, forse, mai. Oppure, col cambio di regolamento invocato al 2027, chiss&agrave;...        

Honda su tutti sia nella 500 due tempi che nella MotoGP a quattro tempi. Seguono Yamaha, Kawasaki e Suzuki, Ducati si difende bene, KTM decisa a risalire la china

I Costruttori del Motomondiale con budget più elevato

        #AllorNothing &egrave; l&rsquo;hashtag che la MotoGP ha lanciato durante la gara lunga del Qatar per quanto riguarda la sfida mondiale tra Pecco Bagnaia e Jorge Martin. Dopo la Main Race di domenica, il campione in carica ha riportato il suo vantaggio sul rivale spagnolo a 21 punti, con una ampia gamma di risultati a suo favore tra Sprint e Main Race.&nbsp; Bagnaia campione se Siamo quindi giunti all&rsquo;ultima gara della stagione, che dal 1999 si disputa sul circuito Ricardo Tormo di Valencia, sede del Gran Premio de la Comunitat Valenciana e gara spesso decisiva per l&rsquo;assegnazione degli allori iridati.&nbsp; Storia, caratteristiche e titoli vinti a Valencia  All&rsquo;inizio degli anni 90, la Spagna ha visto in calendario sempre 1 o 2 appuntamenti, Jerez e Catalunya. Nel 1998 le quote iberiche sono diventate tre con l&rsquo;aggiunta della gara a Jarama ma nell&rsquo;anno seguente l&rsquo;appuntamento alle porte di Madrid viene soppiantato da un nuovo impianto sorto a Cheste, vicino a Valencia, e dedicato al pilota Ricardo Tormo, deceduto nel 1998. Dal 1999, quindi, il Gran Premio della Comunitat Valenciana entra in pianta stabile nel calendario del Motomondiale come gara conclusiva della stagione senza uscirne nemmeno durante la pandemia da Covid-19.&nbsp; Il Circuito Ricardo Tormo di Valencia &egrave; stato costruito ed inaugurato nel 1999. Il complesso, un po&rsquo; come Portimao, contiene diversi tracciati di lunghezze differenti e tutti girano in senso antiorario. Il tracciato valenciano misura 4005 metri, la sua sede stradale &egrave; di 12 metri, il rettilineo pi&ugrave; lungo misura 876 metri ed ha 14 curve, 5 a destra e 9 a sinistra. I piloti della MotoGP percorreranno il Ricardo Tormo 13 volte sabato per la Sprint e 27 volte domenica per la gara. Titoli vinti Essendo l&rsquo;ultima gara stagionale dal 1999 (tranne nel 2020, penultima prima della chiusura a Portimao), in cinque occasioni il titolo &egrave; stato assegnato nella gara di Valencia: Hayden nel 2006, Jorge Lorenzo nel 2015, Marc Marquez nel 2017, Joan Mir nel 2020 e Pecco Bagnaia nel 2022 29 ottobre 2006, ultima gara della stagione. Rossi arriva con un vantaggio di soli 8 punti su Hayden dopo aver perso per pochi millesimi la volata con Elias all&rsquo;Estoril la gara precedente. Al quinto giro il colpo di scena che non ti aspetti: Rossi scivola alla curva 2 e saluta il titolo, che va ad Hayden.  8 novembre 2015, ultima gara della stagione. Dopo i fatti di Sepang Rossi &egrave; costretto a partire dall&rsquo;ultima casella della griglia mentre Lorenzo ed i due Honda sono in prima fila. Valentino recupera fino al quarto posto, Lorenzo &egrave; saldamente davanti con Marquez incollato senza provare minimamente a passare. Nel finale si fa sotto Pedrosa che per&ograve; viene ricacciato indietro dalla manovra di Marquez. Il titolo va a Lorenzo davanti alle due Honda  12 novembre 2017, ultima gara stagionale. Ancora Italia contro Spagna, Dovizioso contro Marquez. Due colpi di scena in sequenza (quasi) regalano il titolo a Marquez: prima la caduta di Lorenzo, poi quella di Dovizioso. Marc fa un salvataggio dei suoi quando &egrave; davanti e finisce in ghiaia, rientra in quinta posizione ma recupera fino al terzo posto. Vittoria a Pedrosa e titolo a Marquez. &nbsp; 15 novembre 2020, penultima gara stagionale. Joan Mir, dopo aver vinto la settimana prima sempre a Valencia, &egrave; ad un passo dal titolo. Allo spagnolo basta un piazzamento in top 10 per chiudere i giochi, e cos&igrave; fa. Morbidelli vince davanti a Miller ma Mir chiude settimo e diventa campione del mondo  6 novembre 2022, ultima gara stagionale. Dopo una grande rimonta nella seconda parte di stagione, Pecco Bagnaia &egrave; in testa alla classifica prima della gara valenciana. Nei primi giri di gara spezza, strategicamente, il ritmo di Quartararo rimettendoci per&ograve; un&rsquo;aletta della moto. Il resto della gara &egrave; di pura gestione, con il francese che non va oltre il quarto posto. Titolo a Bagnaia.  I tratti caratteristici del tracciato spagnolo  Il layout del Ricardo Tormo &egrave; abbastanza particolare: un lungo rettilineo, una lunga curva a sinistra, una chicane veloce, un mix di curve secche e lente.&nbsp; I punti di staccata pi&ugrave; difficili sono: curva 1, facile perdere l&rsquo;anteriore in staccata (Marquez ne sa qualcosa); curva 2, la Doohan, lenta a sinistra (quella della caduta di Rossi nel 2006); curva 4, dedicata a Nico Terol, staccata abbastanza difficile; curva 6, quasi un tornante e leggermente in salita; curva 8, simile alla 6 ma leggermente in pendenza; curva 11, una destra piuttosto lenta; curva 14, dedicata ad Adrian Campos, staccata secca a sinistra in uscita dalla lunga curva 13. I punti dove portare un attacco sono: curva 1, sfruttando la scia del rettilineo principale; curva 2, staccata secca sfruttando l&rsquo;allungo fuori da curva 1; curve 4-5, facile per&ograve; subire l&rsquo;incrocio di traiettoria in uscita; curva 8, stesso discorso per le curve 4 e 5; curva 11; curva 12, si pu&ograve; provare l&rsquo;attacco ma c&rsquo;&egrave; sempre il rischio dell&rsquo;incrocio di traiettoria; curva 14 per il classico attacco da ultimo giro.&nbsp; Statistiche e record del Gran Premio della Comunit&agrave; Valenciana  Sempre presente in calendario dal 1999, con quella di quest&rsquo;anno sono 25 le edizioni (pi&ugrave; quella del Gran Premio d&rsquo;Europa del 2020) del Gran Premio de la Comunitat Valenciana disputate sul Circuito Ricardo Tormo di Valencia. Nemmeno la pandemia da Covid-19 ha intaccato la presenza di Valencia in calendario, che ha raddoppiato le gare con quella vinta da Joan Mir la settimana prima di aggiudicarsi il titolo&nbsp; La prima edizione del GP della Comunit&agrave; Valenciana risale al 19 settembre 1999, dodicesimo appuntamento su 16 della stagione: vittorie di Gianluigi Scalvini in 125, Tohru Ukawa in 250 e Regis Laconi in 500 L&rsquo;ultima edizione, quella dello scorso anno, ha visto i successi di Izan Guevara in Moto3, Pedro Acosta in Moto2 e Alex Rins in MotoGP per l&rsquo;ultimo successo di Suzuki.&nbsp; Il pilota pi&ugrave; vincente a Valencia &egrave; Dani Pedrosa con ben 7 successi (1 in 125, 2 in 250 e 4 in MotoGP, l&rsquo;ultimo nel 2017), segue Jorge Lorenzo con 4 affermazioni tutte in MotoGP Per quanto riguarda la MotoGP, la Pole 2022 &egrave; di Jorge Martin in 1&rsquo;29&rdquo;621 mentre il giro veloce della gara &egrave; di Brad Binder in 1&rsquo;31&rdquo;192. Resistono il record della pista in gara di Pecco Bagnaia del 2021 in 1&rsquo;31&rdquo;042 e l&rsquo;All Time Lap Record di Jorge Lorenzo del 2016 in 1&rsquo;29&rdquo;401&nbsp; Per quanto riguarda la Moto2, Pole 2022 ed All Time Lap Record sono di Alonso Lopez in 1&rsquo;34&rdquo;314 mentre il giro veloce in gara l&rsquo;ha siglato Cameron Beaubier in 1&rsquo;34&rdquo;850. Resiste il record della pista in gara di Tom Luthi del 2019 in 1&rsquo;34&rdquo;820 Per quanto riguarda la Moto3, la Pole 2022 &egrave; di Izan Guevara in 1&rsquo;38&rdquo;479 mentre il nuovo record della pista in gara &egrave; di Deniz Oncu in 1&rsquo;38&rdquo;790. Resiste l&rsquo;All Time Lap Record di Darryn Binder del 2020 in 1&rsquo;38&rdquo;286. Orari MotoGP Valencia       

Ecco tutto quello che c&rsquo;&egrave; da sapere sul circuito Ricardo Tormo della omonima citt&agrave; spagnola, sede del ventesimo ed ultimo appuntamento del Motomondiale nonch&eacute; gara decisiva per l&rsquo;assegnazione del titolo MotoGP

GP Valencia: curve, lunghezza e criticità per la MotoGP

        Archiviato il round di Donington Park con Alvaro Bautista che ha sempre pi&ugrave; in mano il Mondiale 2023, la Superbike non conosce (almeno per il momento) pausa estiva ed &egrave; pronta ad iniziare la seconda parte con il round 7 su un altro tracciato mitico del campionato, Imola. Il tracciato sulle rive del Santerno &egrave; entrato nel calendario nel 2001 ma gi&agrave; nel 2002 &egrave; stato teatro della gara forse pi&ugrave; bella del Mondiale, la battaglia tra Bayliss ed Edwards per il titolo di quell&rsquo;anno. Con quella di quest&rsquo;anno sono 18 le edizioni del round di Imola in tre stint temporali: 2001-2006, 2009-2019, dal 2023&nbsp; Storia e caratteristiche del tracciato di Imola  La storia del tracciato di Imola &egrave; abbastanza particolare e molto interessante. La posa del layout che conosciamo tutti (con tutte le modifiche negli anni per ottemperare agli standard di sicurezza) risale al 1950 ma il progetto originale del tracciato risale alla fine degli anni 40, e pi&ugrave; precisamente al 1948. In quegli anni, grazie all&rsquo;intervento di Checco Costa (il pap&agrave; del Dr Costa) e di Enzo Ferrari, viene realizzato un tracciato semi-permanente di 5017 metri ricavando collegando tra loro strade gi&agrave; esistenti e pezzi di strade nuove. La posa della prima pietra del nuovo tracciato, questa volta permanente, viene messa il 22 marzo 1950 mentre il primo test risale al 19 ottobre 1952 e svolto sia da piloti di auto che da piloti di moto. L&rsquo;inaugurazione ufficiale risale al 25 aprile 1953 con una gara del campionato italiano velocit&agrave; classi 125 e 500. Mentre il Motomondiale ha corso ad Imola fino al 1999 (ultima edizione del Gran Premio Citt&agrave; di Imola), la SBK ha aggiunto Imola nel suo calendario a partire dal 2001. Negli anni il tracciato di Imola, dedicato prima a Dino Ferrari, figlio di Enzo scomparso a soli 24 anni per una distrofia muscolare, e poi allo stesso Enzo, ha subito diverse modifiche, le pi&ugrave; importanti dopo i tragici fatti del 94 con le morti di Ratzenberger e Senna: il lungo tratto velocissimo Tamburello-Villeneuve che porta alla Tosa viene spezzato da due varianti, Tamburello e Villeneuve. Cambiano anche i tratti delle Acque Minerali e della Variante Bassa, ora entrambi sono costituiti da un unico punto. Il layout attuale misura 4936 metri e consta di 19 curve. I tratti caratteristici del tracciato emiliano  Come detto in precedenza, Imola nel corso degli anni ha subito stravolgimenti al suo layout soltanto dal 1994, modificando quei tratti che hanno caratterizzato in negativo quel tragico weekend: Tamburello, Villeneuve, Acque Minerali, Variante Bassa.&nbsp; I punti di frenata pi&ugrave; difficili sono: Tamburello, bisogna attaccarsi ai freni all&rsquo;ingresso arrivando dal rettilineo principale; Tosa, tornante a sinistra dopo il breve allungo in uscita dalla Villeneuve (vedere la battaglia Bayliss-Edwards); Piratella, curva a sinistra cieca in discesa che porta alle Acque Minerali; Acque Minerali, frenata secca per l&rsquo;inserimento soprattutto del primo tratto a destra; Rivazza, curva quasi a 90&deg; a sinistra dopo il tratto veloce in uscita dalla Variante Alta.&nbsp; Il layout di Imola offre diversi punti dove poter superare il pilota che precede: Tamburello, sfruttando la scia del rettilineo; Villeneuve, sfruttando l&rsquo;accelerazione in uscita dal Tamburello ma &egrave; facile subire il contrattacco se si sbaglia l&rsquo;inserimento; Tosa, se si sta tutto interno si pu&ograve; passare ma il rischio &egrave; l&rsquo;incrocio di traiettoria in uscita; Acque Minerali, soprattutto l&rsquo;ingresso con la staccata secca a destra; Variante Alta, sfruttando l&rsquo;accelerazione in uscita dalle Acque Minerali; Rivazza 1, facile per&ograve; finire larghi se si frena troppo; Variante Bassa. Incidenti, gare epiche e sorpassi incredibili ad Imola  Incidenti Pensando ad Imola, l&rsquo;unico incidente degno di nota &egrave; quello di Troy Bayliss del 2001 in occasione dell&rsquo;ultimo round stagionale e Mondiale ormai acquisito. 30 settembre 2001, ultimo round della stagione. Siamo al penultimo giro di gara-1. Troy Bayliss, con livrea che ricorda la vittoria di Paul Smart alla 200 miglia di Imola, in bagarre con Laconi e Xaus, poi vincitore, viene centrato dal francese ricadendo sulla spalla destra e rompendosi la clavicola senza riuscire a prendere parte alla seconda gara. Gare epiche Quando si pensa ad Imola in SBK c&rsquo;&egrave; una sola gara che viene in mente, ovvero quella del 2002 per il titolo tra Troy Bayliss e Colin Edwards, recentemente ripercorsa attraverso il documentario della SBK &ldquo;The Showdown&rdquo;.             Visualizza questo post su Instagram  Un post condiviso da WorldSBK (@worldsbk)      Sorpassi incredibili&nbsp; DI per s&eacute; basta vedere cosa &egrave; stata QUELLA gara per i sorpassi che si sono scambiati Bayliss ed Edwards. Tutte le curve della pista, Tamburello, Villeneuve e Tosa su tutte, sono diventate teatro di sorpassi incredibili.&nbsp; Un altro sorpasso incredibile &egrave; quello di Marco Simoncelli su Max Biaggi, entrambi su Aprilia, alla Variante Bassa nel 2009 nella gara-2 di quel Mondiale conteso tra Nori Haga e Ben Spies&nbsp; Statistiche e record di Imola  Il tracciato sulle rive del Santerno &egrave; presente nel calendario del Mondiale soltanto dal 2001 e quest&rsquo;anno taglia il traguardo delle 18 edizioni. Nel 2001 Imola &egrave; l&rsquo;ultimo round della stagione, vincono Ruben Xaus gara-1 e Regis Laconi gara-2, mentre l&rsquo;ultima presenza risale al 2019, quinto round su 13, con due vittorie di Jonathan Rea (gara-1 e Superpole Race). Per i record, la pole &egrave; di Chaz Davies del 2019 in 1&rsquo;45&rdquo;180 mentre il giro record &egrave; di Jonathan Rea in 1&rsquo;46&rdquo;023.        

Ecco tutto quello che c&rsquo;&egrave; da sapere sul tracciato emiliano, dove nel weekend del 14-16 luglio si svolger&agrave; il settimo round del Mondiale Superbike

Imola: curve, lunghezza e criticità per la SBK

Se c&rsquo;&egrave; una terra, o per meglio dire un tracciato, che trasuda Superbike da tutti i tasselli del suo asfalto, quello probabilmente &egrave; Imola. &Egrave; un qualcosa di mistico, di difficilmente spiegabile, ma &egrave; cos&igrave;: il pubblico, la conformazione del circuito, tutto sembra calzare a pennello allo spirito delle derivate di serie, ed il ritorno del campionato ad Imola in questa stagione &egrave; una sorta di ritorno a casa. Anche per cancellare l&rsquo;ultimo attuale ricordo della Superbike in riva al Santerno, con quella Gara 2 del 2019 cancellata &ndash; tra proteste e meeting infiniti &ndash; a causa della pioggia. La stessa pioggia che ha impedito ad Imola di ospitare in maggio la Formula 1, tanto che l&rsquo;arrivo della Superbike rappresenta per il tracciato anche un piccolo ritorno alla normalit&agrave;.  Lo sguardo volge dunque al futuro, a quello che lo storico tracciato romagnolo sapr&agrave; regalare, ma prima &egrave; giusto quanto interessante ripensare per un attimo a quello che ha gi&agrave; regalato, perch&eacute; di materiale da ricordare non ne manca. Tanto che se chiedessimo ad un amante della Superbike quale sia stata la gara pi&ugrave; emozionante della storia delle derivate, la risposta sarebbe probabilmente &ldquo;Imola 2002&rdquo;: del resto stiamo parlando di un duello carena contro carena per il titolo mondiale, all&rsquo;ultimo round della stagione, tra due piloti che della Superbike hanno fatto la storia.  Ducati vs Honda    Parliamo di Troy Bayliss, campione in carica dopo l&rsquo;alloro conquistato l&rsquo;anno precedente e Colin Edwards, gi&agrave; titolato nel 2000. I due padroni della Superbike dell&rsquo;epoca insomma, arrivati all&rsquo;ultimo appuntamento della stagione 2002 nuovamente in lotta per l&rsquo;iride, con un punto &ndash; a favore dello statunitense &ndash; a separarli in classifica generale.  Il resto &egrave; storia, con una Gara 1 interrotta dalla bandiera rossa e vinta da Edwards e soprattutto una Gara 2 divenuta materiale per cultori: Bayliss ed Edwards infatti diedero vita alla battaglia delle battaglie, con l&rsquo;australiano prima impegnato a favorire il rientro del compagno Ruben Xaus &ndash; in caso di successo Troy avrebbe avuto bisogno di un 3&deg; posto di Colin visti i 6 punti di ritardo &ndash; poi deciso a vincere almeno il duello finale, andato invece ad un altrettanto meraviglioso Texas Tornado.  Magistrale lo scambio di sorpassi tra i due tra la Villeneuve, la Tosa e la Piratella, dove un&rsquo;imbarcata della 998 di Bayliss spian&ograve; la strada di vittoria e titolo al rivale di casa Honda. &ldquo;Sentivo il pubblico &ndash; il commento anni dopo di Troy &ndash; ed anche se persi il titolo fu speciale&rdquo;. Del resto Imola seppe farsi perdonare nei confronti di uno dei piloti pi&ugrave; ducatisti nella storia della casa bolognese, dato che nel 2006 proprio in riva al Santerno Troy pot&eacute; festeggiare il suo secondo titolo in Superbike: dopo una stagione da assoluto dominatore infatti all&rsquo;australiano bast&ograve; un quinto posto in Gara 1 per laurearsi campione, alzando il trofeo nel round pi&ugrave; importante per Ducati.  &nbsp;  Duello in casa: Laconi vs Toseland  Imola ad ogni modo non richiama alla mente solo Bayliss o Edwards, perch&eacute; nel corso degli anni non sono mancati altri duelli mozzafiato. Ad esempio quello tra i due portacolori del team Ducati ufficiale Regis Laconi e James Toseland nel 2004, con Imola penultimo round stagionale. Con 2 soli punti a separare in classifica generale il leader Chris Vermeulen ed i due ducatisti il round romagnolo divenne uno spartiacque di grande importanza in ottica titolo, anche in virt&ugrave; di quanto accaduto in Gara 2, dove il primo colpo di scena arriv&ograve; gi&agrave; durante il giro di ricognizione, con la caduta del pilota Honda ed la conseguente rimonta dal fondo.  Con Vermeulen fuori dai giochi dunque tutta l&rsquo;attenzione si spost&ograve; su Laconi e Toseland, che rimasti soli al comando dopo la caduta di Noriyuki Haga infiammarono il pubblico imolese con una battaglia senza esclusioni di colpi, come testimoniato dalla classifica finale, dove Laconi riusc&igrave; a cogliere la vittoria &ndash; facendo doppietta - per soli 41 millesimi, complice anche una linea molto difensiva alla Variante Bassa che favor&igrave; il rientro in uscita di Toseland, che si riscatter&agrave; poi nell&rsquo;ultimo round di Magny &ndash; Cours vincendo il titolo.  Proseguendo sul viale dei ricordi, Imola ha conquistato un posto speciale nel cuore degli appassionati di Superbike e motociclismo in generale anche grazie a quanto accaduto nel 2009, quando il tracciato intitolato ad Enzo e Dino Ferrari ebbe la fortuna di ospitare la prima ed unica apparizione tra le derivate di Marco Simoncelli...  Per l&#39;articolo intero l&#39;appuntamento &egrave; da oggi in edicola, con il nuovo numero di Motosprint!&nbsp; 

La battaglia del 2002 tra Troy e Colin per il titolo &egrave; storia, come la lotta interna al team Ducati due anni dopo. Viaggio nel viale dei ricordi di una pista mitica&nbsp;

SBK Imola e i suoi duelli: Bayliss vs Edwards, Toseland vs Laconi... e non solo

        Per il settimo round della stagione le derivate di serie si ritroveranno in pista in quel di Imola, per quello che sar&agrave; il penultimo appuntamento prima della pausa estiva di agosto. Il leitmotiv del campionato al momento &egrave; chiaro, con Alvaro Bautista dominatore assoluto in virt&ugrave; di ben sedici successi su diciotto manche disputate. Risultati sintomo di una prevalicazione tecnica inequivocabile che sul circuito Enzo e Dino Ferrari di Imola potrebbe trovare la sua ennesima conferma o, al contrario, la rivalsa dei rivali. Il tracciato italiano per anni &egrave; stato una presenza fissa all'interno del calendario della Superbike; un layout complesso ed esaltante sul quale Ducati ha gi&agrave; dimostrato di saper vincere, insieme ad un altro dei piloti attualmente in griglia, il quale detiene il record di vittorie ogni epoca. Andiamo a scoprire la top five dei piloti pi&ugrave; vincenti di sempre ad Imola. SBK Imola: dove vederla, orari Sky e TV8, programma Regis Laconi e Ruben Xaus appaiati alle spalle di Chaz Davies Appaiati a quota 3 successi troviamo Ruben Xaus e Regis Laconi, i primi vincitori, rispettivamente di Gara 1 e Gara 2, della prima edizione del round di Imola della Superbike, nel 2001. Successivamente Xaus trionf&ograve; anche nel 2003, autore di una doppietta davanti a Neil Hodgson e lo stesso Laconi, a dimostrazione di una propensione innata verso il layout italiano. Discorso analogo per il pilota francese, che in sella alla Ducati ebbe la meglio su Troy Corser nel 2001, mentre nel 2004 fu autore di una doppietta ai danni di Chris Vermaulen e James Toseland. Il terzo gradino del podio della classifica dei piloti pi&ugrave; vincenti di sempre a Imola &egrave; occupato da Chaz Davies, autore di quattro successi, divisi in due doppiette ottenute tra il 2016 ed il 2017. In sella alla Ducati l'inglese dimostr&ograve; una propensione significativa verso il tracciato italiano conquistando quattro vittorie consecutive e battendo la concorrenza di Jonathan Rea, sempre secondo sia nel 2016 che nel 2017. SBK, classifica piloti aggiornata Jonathan Rea il pi&ugrave; vincente, segue Carlos Checa La piazza d'onore &egrave; presieduta dallo spagnolo Carlos Checa, autore di ben cinque successi in terra italiana. Il campione del mondo 2011 sal&igrave; sul gradino pi&ugrave; alto del podio per la prima volta nel 2010, quando sigl&ograve; una doppietta precedendo Lorenzo Lanzi in Gara 1 e Noriyuki Haga in Gara 2. Il trionfo, arrivato a fine stagione, fece da preludio a quello che sarebbe poi successo l'anno seguente, quando lo spagnolo domin&ograve; l'annata fino alla conquista del titolo. Anche nel 2011 Checa s'impose ad Imola, per la precisione in Gara 2, quando al traguardo concluse davanti a Haga. Nel 2012 arrivarono gli ultimi due sigilli dell'alfiere Ducati, che nell'anno del secondo titolo di Max Biaggi, ebbe la meglio su Tom Sykes in entrambe le manche.&nbsp; Con sette trionfi, Jonathan Rea si presenta come il recordman di Imola, in virt&ugrave; di un dominio messo in atto durante il suo periodo aureo condito poi da sei titoli mondiali. Il primo successo di Rea ad Imola arriv&ograve; nel 2011, quando l'inglese era ancora alla corte della Honda e vinse Gara 1 dopo un duello serrato con Haga. Il periodo Kawasaki contribu&igrave; a costellare di vittorie la storia tra Imola e Rea: nel 2015 arriv&ograve; la prima doppietta, conquistata ai danni di Tom Sykes, mentre nel 2018 a farne le spese furono nuovamente Sykes e Chaz Davies. L'ultima volta che il sei volte iridato sal&igrave; sul gradino pi&ugrave; alto del podio ad Imola fu nel 2019, quando non ebbe rivali e precedette Alvaro Bautista e Chaz Davies. SBK, Tom Sykes ha lasciato l'ospedale di Nottingham           

Le derivate di serie si apprestano a disputare il settimo round della stagione a Imola. Il circuito torna in calendario dopo tre anni

Superbike Imola: i cinque piloti più vincenti di sempre

        L&rsquo;attesa riposta nei confronti di Troy Bayliss era comprensibilmente notevole, perch&eacute; l&rsquo;australiano aveva appena toccato il cielo con un dito, aggiudicandosi la SBK edizione 2001. Non possiamo dire che Imola fosse tutta per lui, ma quasi: Ducati ebbe la splendida idea di sfoggiare una livrea &ldquo;Paul Smart - Bruno Spaggiari&rdquo;, a ricordare l&rsquo;edizione 1972 della 200 Miglia conclusa in doppietta. La 996R numero 21, cos&igrave; argentea e meravigliosa, non vide nessuno dei due traguardi programmati, perch&eacute; la spalla spezzata in Gara Uno dal cavaliere errante pose la fine dei sogni di gloria. Parziali. Classifica piloti SBK Campione (anche) di sportivit&agrave;: Bayliss salut&ograve; la SBK di Imola col sorriso Ridere non era facile, in quel momento. Anzich&eacute; vincere, cadde, facendosi male. La Ducati in stile vintage, gi&agrave; scintillante a destra e a manca per mezzo degli stivaletti di chi la conduceva (a volte oltre) il limite, sfiaccol&ograve; inesorabile all&rsquo;uscita della seconda Rivazza, lasciando rotolare Troy sul grigio asfalto imolese.  Nel tonfo, involontariamente. Bayliss coinvolse Regis Laconi, davvero impossibilitato nell&rsquo;evitare la caduta patita, a sua volta. L&rsquo;ex carrozziere e il francese si abbracciarono, scusandosi e dispiacendosi reciprocamente. Utile si rivel&ograve; Colin Edwards: l&rsquo;americano offr&igrave; un passaggio al neo iridato, senza sospettare che circa 12 mesi pi&ugrave; tardi ne avrebbe consumato un duello all&rsquo;ultimo sangue, proprio sulla stessa piste e per il medesimo motivo: diventare campione del mondo SBK, a precedere il passaggio in MotoGP. SBK, i prossimi appuntamenti  I titoli SBK 2006 e 2008: la storia di Bayliss continu&ograve; vincente A Portimao nel 2008 Troy festeggi&ograve; il terzo iride, completando una carriera voluta s&igrave;, tuttavia nata quasi da nulla. L'australano si ripresent&ograve; pi&ugrave; avanti, nel 2015 a Pillip Island e Thailandia prendendo punti in entrambi gli eventi, per&ograve; diciamo che il grosso era gi&agrave; stato compiuto. Torniamo indietro perci&ograve; a Imola 2006, pista dove il numero 21 conquist&ograve; il secondo alloro in SBK. Se ricordate - e la foto lo spiega - Bayliss sfoggi&ograve; un casco speciale tuta al pari dell'occasione, dedicati a uno specialista del ciclismo. Ricordate quale? Questo &egrave; l'indovinello del giorno, mentre &egrave; doveroso rammentare che la missione di Troy non si concluse l&igrave;: presentatosi nella MotoGP di Valencia, mise tutti in riga. Ma questa &egrave; un'altra storia. P.S. Elmetto e divisa indossati dal campione SBK riportavano alla memoria la maglia vestita sul podio di Salisburgo fa Paolo Bettini, professionista del ciclismo che giusto una settimana prima aveva fatto suoi i successi mondiale su strada in Austria. Risultati gare SBK 2023   &nbsp;        

Troy cadde in Gara Uno, infortunandosi: nonostante l'incidente, l'australiano era gi&agrave; campione del mondo in carica&nbsp;

Imola SBK 2001: la spalla spezzata e il sorriso di Bayliss

        Domenica 30 settembre 2001, il cielo di Imola era di un grigio che, scritto cos&igrave; potrebbe ispirarvi tristezza, in realt&agrave; risultava piacevole, perch&eacute; esaltava tutte le tinte che coloravano il debutto della SBK iridata al Santerno. Nell&rsquo;Autodromo Enzo e Dino Ferrari dominava un silenzio quasi assordante, battuto dall&rsquo;accensione dei motori a quattro tempi derivati di serie. Sulla linea di partenza venne rispettato un minuto di raccoglimento per ricordare le vittime di quel maledetto ma indimenticabile 11 settembre. New York, cos&igrave; distante, era rappresentata dai volti seri degli americani Colin Edwards e Ben Bostrom. La felicit&agrave; dei vincitori di tappa, Ruben Xaus e Regis Laconi, fece capire - ancora una volta - quanto lo sport fosse e sia messaggio di unione e di speranza a un mondo migliore.&nbsp;  Prossime gare SBK Xaus e la &ldquo;toilette&rdquo; di Imola: seconda vittoria in SBK nel 2001 Dopo l&rsquo;assenza di suoni per gli interminabili 60 secondi, le moto trovarono voce, previa accensione degli allora avviatori a spingere la ruota posteriore. Fu come un tuono: i bicilindrici Ducati, Aprilia e Honda con le proprie tonalit&agrave;, i quattro in linea Suzuki, Yamaha e Kawasaki &ldquo;fischiavano&rdquo;, baritonale il suono del tre cilindri Benelli. Ad un certo punto, un alto e corpulonto pilota vestito di Rosso lasciava la sua 996R nelle mani dei meccaninci Infostrada; ehi, ma dove cavolo sta andando Ruben Xaus? Tra pochi minuti scatta la prima manche... Semplice: lo spagnolo, vuoi per la forte emozione, aggiungiamo nell&rsquo;obiettivo di smaltire quanto bevuto precedentemente alla contesa, abbandon&ograve; per qualche istante l&rsquo;ottava posizione dello schieramento, dirigendosi verso il muretto di cinta a dividere tracciato e tribuna centrale. Un colpo secco alla zip della tuta in pelle e... via di pip&igrave;, esattamente contro il muro e davanti a migliaia di tifosi. Le telecamere non inquadrarano il giovane numero 11 che, fidatevi di chi era presente, urin&ograve; disinvolto, convinto e... veloce.  Evidentemente sapeva di aver passo da vittoria, a dispetto della scivolata accusata in Superpole. La Superpole quella vera, per intenderci. Infatti, grazie a ritmo indiavolato e sorpassi a dir poco rischiosi, riusc&igrave; a imporsi per la seconda volta nella stagione, che poi fu anche la seconda volta di carriera in SBK. Lo fece, presentandosi al box osservato dai pi&ugrave;: le carene della Ducati presentavano evidenti buchi e grattate, frutto delle esagerate pieghe esibite, con le quali releg&ograve; nomi piuttosto pesanti: oltre ai gi&agrave; citati statunitensi, menzioniamo l&rsquo;inglese Neil Hodgson, gli australiani Troy Corser e Troy Bayliss. A proposito, come si piazz&ograve; il neo campione del mondo? Male, perch&eacute; coinvolto in un incidente dal quale si rialz&ograve; con una clavicola fratturata. And&ograve; a terra pure il francese Regis Laconi, riscattotosi dopo poche ore.  Classifica piloti SBK Laconi e Aprilia in trionfo nella SBK di Imola 2001: tutti zitti! Chi sosteneva che la RSV Mille potesse trionfare solo per mezzo delle mani e incastrata tra le chiappe di Troy Corser, dovette ricredersi. S&igrave;, il team Virgilio Aprilia Axo aveva nel coccodrillo la prima punta, per&ograve; la &ldquo;spalla&rdquo; transalpina non era affatto male. A proposito di male, come avrete letto, Troy Bayliss lasci&ograve; il Santerno col braccio legato al collo. Che dolore! Per sua fortuna - e bravura - il titolo era gi&agrave; in cassaforte.  Quindi, l&rsquo;ultimo round stagionale si corse per onorare contratti e rispettare i tanti tifosi arrivati in circuito. Insomma, a Imola i piloti si divertirono, nel vero senso del termine. In un gruppo ricco di personalit&agrave; uniche. Regis Laconi non invidiava nessuno i quanto a doti da personaggio, crediateci, manetta destra. Magari peccava di emotivit&agrave;, tuttavia il francese di origine sarda spiccava per coraggio, rapidit&agrave; e talento.&nbsp; Lo dimostr&ograve; in Gara Due, affermandosi. L&rsquo;apparentemente troppo voluminosa nera di Noale gommata Dunlop era, invece, agile a m&ograve; di gatto affamato: in quel caso, di trippa ne fu mangiata dal nativo di Saint Dizier, mentre per gli altri... b&egrave;, il detto gi&agrave; lo conoscete. Perlomeno, dovreste averlo sentito da qualche parte. Le lacrime stridevano d'assurdo: nessuno come Regis affrontava i seguenti punti del tracciato: la Piratella e la discesa che porta alla Rivazza erano di sua propriet&agrave;. Certo, Laconi volava altrettanto nelle restanti parti di Imola, e il fotofinish lo inser&igrave; tra i grandi categoria, lanciandolo diretto in MotoGP. Sempre con e per Aprilia, sulla esageratamente tecnologica e poco compresa - dagli addetti ai lavori - RS Cube. P.S. Il pianto di Laconi pales&ograve; gioia e rabbia: per la serie "zitti tutti", posso vincere pure io. Sar&agrave; indetta una "asta speciale" per aiutare gli alluvionati dell'Emilia-Romagna        

Debutto mondiale per le derivate, con le vittorie di Ruben e Regis: l'urina dello spagnolo e il pianto del francese bagnarono il Santerno

Imola SBK 2001: la pipì di Xaus e le lacrime di Laconi

        Se si pensa al numero 11, uno dei primi nomi a cui lo si associa &egrave; sicuramente quello di Ruben Xaus, che proprio con l&rsquo;11 e il 111 &egrave; stato uno dei grandi protagonisti del mondiale Superbike nel primo decennio degli anni 2000, con anche un biennio passato in MotoGP. Lo spagnolo, classe &lsquo;78 e nativo di Barcellona, si &egrave; ormai ritirato dall&rsquo;attivit&agrave; agonistica con undici &ndash; ironia della sorte &ndash; vittorie all&rsquo;attivo in SBK e un podio nel Motomondiale, ma ha continuato a frequentare i paddock in diverse vesti, compresa quella di team manager. Abbiamo incontrato Xaus in occasione della presentazione del Team Go Eleven, squadra capitanata da Gianni Ramello e Denis Sacchetti di cui &egrave; stato il co-fondatore, nonch&eacute; primo pilota nell&rsquo;ormai lontano 2006. Dalla sua carriera ai temi di pi&ugrave; stretta attualit&agrave; riguardanti sia le derivate di serie che la MotoGP, ecco cosa ci ha raccontato in esclusiva. Xaus e il legame con Ducati   Ruben, tu hai un legame particolare con il Team Go Eleven: ci racconti come &egrave; nato? &ldquo;Il team &egrave; nato nel 2006, quando ho concluso la mia avventura in MotoGP e avevo bisogno di rilanciare la mia carriera in Superbike. Il nome richiama il mio numero di gara e il tutto nacque con Gianni Ramello e Marco Borciani, oltre al supporto di Ducati Cuneo; &egrave; un progetto che part&igrave; da zero, ma ora la squadra &egrave; una presenza fissa del Mondiale e sono orgoglioso di ci&ograve; che hanno ottenuto. Oggi sono ambasciatore del team e continuo ad aiutarli con la ricerca degli sponsor, oltre ad avere ancora un ottimo rapporto con Gianni&rdquo;. E poi &egrave; sempre un team della Ducati, marchio a cui sei molto legato... &ldquo;Esatto, da qualche anno &egrave; tornato alla Ducati dopo aver corso con altre Case come KTM e Kawasaki. Penso che il loro rapporto con l&rsquo;azienda ora sia ottimo, anche perch&eacute; quando si diventa legati a questo marchio &egrave; dura separarsi. &Egrave; vero: costa di pi&ugrave; rispetto ad altre moto, specialmente se sei un team satellite, ma hai la garanzia di avere un pacchetto tecnico competitivo con cui lottare per le posizioni di vertice&rdquo;. A proposito della Ducati, il 2022 per loro &egrave; stato davvero trionfale. Da ex pilota, come giudichi il lavoro di Borgo Panigale? &ldquo;Erano anni che la Ducati meritava il Mondiale, perch&eacute; ha compiuto un grande salto di qualit&agrave; in tutti i sensi, specialmente da quando &egrave; arrivato GIgi Dall&rsquo;Igna, che ha sempre avuto le idee chiare sulla direzione da prendere per sviluppare le proprie moto e renderle vincenti, spingendo spesso la concorrenza a inseguire adottando le loro stesse soluzioni tecniche. Non &egrave; un caso che sia in MotoGP che in Superbike siano diventati campioni e abbiano la moto migliore in griglia, anche se con questo ovviamente non voglio sminuire la bella stagione di Alvaro Bautista e Pecco Bagnaia, visto che entrambi hanno meritato il titolo mondiale guidando alla grande&rdquo;. Parlando della Superbike, quanto &egrave; cambiata rispetto a quando eri uno dei grandi protagonisti? &ldquo;Rispetto a quando correvo io, oggi &egrave; cambiata tantissimo. La differenza pi&ugrave; grande riguarda sicuramente l&rsquo;elettronica, visto che oggi &egrave; un componente fondamentale, mentre prima era soltanto una questione di sintonia tra moto e pilota, con quest&rsquo;ultimo che poteva fare forse anche pi&ugrave; differenza. Inoltre, una volta c&rsquo;era anche un maggior divario tra una moto e l&rsquo;altra dal punto di vista prestazionale, visto che c&rsquo;erano pi&ugrave; imprevisti e venivano montati freni e gomme di marchi differenti. Ora invece &egrave; tutto pi&ugrave; standardizzato, le strategie in gara sono importantissime e ci sono pi&ugrave; piloti e team in grado di lottare al vertice; non posso dire che sia meglio o peggio rispetto a qualche anno fa. &Egrave; soltanto diversa&rdquo;. Xaus: "Bayliss &egrave; stato il rivale pi&ugrave; tosto"   Pensando alla tua carriera, hai qualche rimpianto? &ldquo;S&igrave;, come penso ne abbia qualunque pilota. Sono felice di ci&ograve; che ho ottenuto nel corso della mia carriera visto che per tanti anni sono stato tra i protagonisti in Superbike, ho avuto l&rsquo;occasione di correre in MotoGP e ho guidato tante moto fantastiche. L&rsquo;unico vero rimpianto &egrave; quello di essermi trovato diverse volte nel posto giusto al momento sbagliato&rdquo;. Che cosa significa? &ldquo;In alcune occasioni ho avuto delle chances teoricamente vincenti, ma per una serie di vicissitudini non le premesse iniziali non sono state mantenute, come quando alla Suzuki salt&ograve; il progetto della TL1000 con cui avrei corso in Superbike o quando dovetti correre nell&rsquo;IDM per rilanciarmi prima di tornare in Supersport ed entrare nell&rsquo;orbita Ducati, o ancora quando corsi con la BMW il cui progetto era buono ma ancora acerbo. Come detto, per&ograve;, sono felice della mia carriera e guardo al passato con il sorriso&rdquo;. Hai vissuto in prima persona l&rsquo;epoca d&rsquo;oro di una SBK ricca di personaggi: chi &egrave; stato il rivale pi&ugrave; forte? &ldquo;Dico Troy Bayliss senza neanche pensarci. Ho condiviso la pista con piloti fantastici e fortissimi quali Ben Bostrom, Troy Corser, Regis Laconi, James Toseland, Neil Hodgson e Pierfrancesco Chili. Potrei continuare all&rsquo;infinito, ma Troy aveva qualcosa di diverso ed &egrave; anche il pilota da cui ho imparato di pi&ugrave;, perch&eacute; &egrave; stato il mio compagno di squadra quando sono arrivato in Superbike a soltanto 21 anni e mi ha insegnato molto in quelle prime stagioni pur essendo il pilota di punta della squadra&rdquo;. Oggi in Superbike si parla della questione riguardante il peso minimo moto-pilota: cosa ne pensi? &ldquo;Penso che introdurre un peso minimo non sia la soluzione giusta. Quando correvo io era il contrario, perch&eacute; se eri pi&ugrave; basso e leggero avevi meno controllo in sella, mentre ora sei pi&ugrave; aerodinamico, ma mi sembra impossibile creare una regola in grado di accontentare sia il Bautista che il Redding di turno. Una buona soluzione per livellare il tutto e avere un campionato equilibrato, invece, potrebbe essere l&rsquo;introduzione degli scarti, in modo da permettere a tutti i piloti di togliere i due-tre risultati peggiori evitando troppe polemiche&rdquo;. &nbsp; Ruben: "Troppe gare in MotoGP"  Un altro tema attuale &egrave; quello dell&rsquo;introduzione delle Sprint Race in MotoGP. &ldquo;Permetter&agrave; a piloti che non hanno nulla da perdere di lottare per le posizioni di alta classifica, essendo gare con meno giri in cui coloro che puntano al Mondiale cercheranno di non prendere troppi rischi per non compromettere la corsa principale della domenica, mentre gli altri potranno dare il tutto per tutto. Il problema riguarder&agrave; il numero di gare, perch&eacute; introducendo la Sprint Race a ogni Gran Premio, verranno corse oltre 40 manche e potrebbero diventare troppe sia per i team che soprattutto per i piloti, sottoposti a uno stress fisico e mentale senza precedenti&rdquo;. Pensi quindi che le gare siano diventate troppe&hellip; &ldquo;In un certo senso s&igrave;. Con tutte queste gare, aumenta anche il rischio di farsi male e di perdere tante corse essendo molto ravvicinate, compromettendo il proprio Mondiale. &Egrave; vero, ci sono anche pi&ugrave; chances di rimonta per i piloti, come accaduto nel 2022 con Bagnaia che ha vinto il titolo nonostante una prima parte difficile, ma il tempo per recuperare tra un weekend e l&rsquo;altro inizia a essere davvero poco&rdquo;. Nel recente passato, proprio in MotoGP, hai svolto anche il ruolo di team manager: com&rsquo;&egrave; stato? &ldquo;&Egrave; stata una bella esperienza. Ho lavorato con il Team Avintia e ci siamo tolti delle belle soddisfazioni nel corso delle ultime stagioni, ma &egrave; un ruolo davvero molto impegnativo. Tra i Gran Premi, i test, i viaggi in giro per il Mondo, il jet lag e i costi sempre pi&ugrave; alti, stava diventando sempre pi&ugrave; complicata e stare cos&igrave; spesso lontani dalla propria famiglia non &egrave; facile&rdquo;. Qual &egrave; il pronostico per la stagione alle porte? &ldquo;&Egrave; molto difficile, ma cos&igrave; su due piedi dico che Bagnaia e Bautista possono ripetersi quest&rsquo;anno. Pu&ograve; sembrare scontato visto che il campione in carica &egrave; sempre il favorito numero uno, ma vedo la Ducati nuovamente favorita sia in MotoGP che in Superbike. Quel che &egrave; certo &egrave; che assisteremo a una grande stagione, con tanti protagonisti in entrambi i campionati&rdquo;. SBK, Locatelli: "Non voglio copiare Toprak"       

Abbiamo incontrato lo spagnolo in occasione della presentazione del Team Go Eleven. Dalla sua carriera all'attualit&agrave; MotoGP e Superbike, ecco cosa ci ha raccontato&nbsp;

Esclusiva SBK, Ruben Xaus: "Vi racconto il mio amore per Ducati"

        Per emergere nel mondiale Superbike sono indispensabili la velocit&agrave;, la determinazione e anche un pizzico di fortuna. Lorenzo Lanzi, pilota Ducati dei primi anni Duemila, ha avuto tutto tranne quest&rsquo;ultima, che gli ha voltato le spalle proprio nel momento fondamentale della sua bella ma breve carriera ad alti livelli. Scatto Sprint: la stella di Gianmaria Liverani La storia di Lanzi  Uscito dall&rsquo;immenso serbatoio dei grandi piloti della Romagna, Lanzi si mette in luce nella fantastica scuola rappresentata dalla Sport Production. Una vera fabbrica di talenti e campioni in pista con moto davvero di serie. Lanzi vince la difficilissima 125 nel 1998 con un&rsquo;Aprilia RS preparandosi per passare a categorie superiori. Purtroppo non trova subito team e squadre capaci di valorizzare il suo talento e passa alla GP con le 125 e 250, prima nel campionato italiano e poi, nel 2001, nel Mondiale. Nella GP si mette in luce tanto da interessare il grande Rossano Innocenti del Team Rox Racing Ducati nel mondiale SBK. Appena salito sulla 999S Superstock, Lorenzo rischia di vincere l&rsquo;Europeo e si aggiudica subito l&rsquo;Italiano. Nel 2004, a 23 anni, guida una Ducati 749 R nel mondiale Supersport dove finisce sesto, con il podio a Imola, entrando nella zona di interesse di Ducati Corse, che cerca sostituti per i piloti &ldquo;scappati&rdquo; dalla SBK alle quattro tempi della MotoGP. Al termine della stagione 2004 la Ducati lo mette in sella alla 999-R Superbike nelle due ultime gare del durissimo campionato AMA negli Stati Uniti. E qui esplode tutto il talento del giovane romagnolo che si trova immediatamente a suo agio con la SBK, mettendosi dietro il compagno Regis Laconi e finendo quarto e terzo prima di un ritiro. Ormai il ghiaccio &egrave; rotto e nel 2005 entra nel mondiale SBK con la 999F04 del Team Caracchi. Purtroppo a Valencia si rompe una clavicola e salta Monza per poi rientrare molto veloce e spettacolare, tanto che la Ducati Xerox lo chiama a sostituire l&rsquo;infortunato Laconi al Lausitzring. In Germania emerge di nuovo tutto il potenziale di Lanzi, che dopo la pole regala una bellissima vittoria alla Ducati. Vittoria che riesce a ripetere a Magny-Cours tanto che alla fine del 2005 Ducati Corse lo chiama nella squadra ufficiale. La tragedia di pap&agrave; Pier Carlo  Qui avviene l&rsquo;intervento spietato di un destino avverso e tragico. Il giorno dopo l&rsquo;immensa gioia della firma del contratto con la Ducati, Lorenzo insieme ad alcuni amici e al padre Pier Carlo decide di fare un giro in Trial sulle colline di Bagno di Romagna. Improvvisamente il giovanissimo pap&agrave; di Lorenzo si ferma e si accascia stroncato da un infarto. Un dramma che avr&agrave; comprensibilmente un peso immane sul rendimento di questo bravissimo e velocissimo pilota, bloccato da un destino tremendo. Lanzi oltre a essere un ottimo pilota &egrave; sempre piaciuto a tutti per essere un grande amico, sereno, sincero e molto positivo. Yamaha Mondiale: la favola triste di Jarno Saarinen       

L&rsquo;approdo nel team ufficiale Ducati Superbike coincise purtroppo con la scomparsa del padre, un colpo tremendo anche per il percorso sportivo del romagnolo

Scatto Sprint: l'onda troppo breve di Lorenzo Lanzi

        Una &egrave; sopravvissuta 141 anni, l&rsquo;altra 53 stagioni, ed entrambe sono rimpiante da milioni di nostalgici (l&rsquo;ultimo &egrave; stato Casey Stoner). Il 2002 fu un anno storico perch&eacute; furono pensionate le monete nazionali, fra cui la Lira, e la classe 500. E come i prezzi che con il cambio valutario raddoppiarono, anche il regolamento della classe regina stabil&igrave; quasi il raddoppio delle dimensioni dei motori da 500 cm&sup3; a Mille (990 cm&sup3; per essere precisi), con l&rsquo;abbandono della tecnologia a due tempi a beneficio dei quattro tempi. Nel triennio precedente c&rsquo;erano stati tre diversi campioni del Mondo della 500, tutti per la prima volta, una circostanza che non si verificava dal 1984.  Con Alex Criville costretto al ritiro a causa degli attacchi epilettici provocati da un vecchio trauma cranico e Kenny Roberts junior in fase involutiva, l&rsquo;unico che poteva impedire la salita al trono di un quarto neoiridato della classe regina era Valentino Rossi, ultimo campione della 500. Sulla carta il principale sfidante era Max Biaggi, per il quarto anno di fila con il Team Marlboro Yamaha e per di pi&ugrave; in progressione: quarto posto finale nel 1999, seguito dal terzo e dal secondo, sempre aumentando il bottino di vittorie. MotoGP, Bagnaia: &ldquo;Ho chiesto a Ciabatti di fare la 8 Ore di Suzuka&rdquo; I primi test e la superiorit&agrave; Honda  Invece fin dai primi test fu evidente la superiorit&agrave; della Honda RC211V rispetto alla Yamaha M1, che pure era scesa in pista in anticipo. Dopo aver firmato il rinnovo biennale, superando una fase di stallo nelle trattative per lo sfruttamento dei diritti d&rsquo;immagine, Valentino polverizz&ograve; i record sul giro a Sepang (dove utilizz&ograve; per la prima volta i tappi per le orecchie) e Phillip Island. Molti pi&ugrave; dubbi regnavano nel frattempo in casa Yamaha che aveva spostato la sede da Amsterdam a Gerno di Lesmo, in Brianza, e si affidava a un nuovo direttore sportivo, l&rsquo;ex Superbike Davide Brivio. Loris Capirossi, dotato ancora di Honda NSR 500 cos&igrave; come Daijiro Kato che l&rsquo;anno prima aveva dominato la 250 (11 vittorie e tredici podi in 16 GP), inquadr&ograve; subito la questione: &ldquo;Forse nella prima parte del Mondiale ci sar&agrave; equilibrio perch&eacute; le quattro tempi saranno un po&rsquo; indietro nella messa a punto, ma dopo cresceranno, noi resteremo dove siamo&rdquo;. Sia l&rsquo;imolese che Biaggi caddero nei test IRTA di Valencia e soprattutto non riuscirono a migliorarsi pi&ugrave; di tanto. Preceduto dalle Yamaha YZR 500 di Garry McCoy e Shinya Nakano, Max aveva il morale a terra: &ldquo;Adesso il motore conta il 70% della moto, pu&ograve; darti pi&ugrave; o meno vantaggi. In un mese &egrave; difficile fare le rivoluzioni&rdquo;. Capirex allora gli butt&ograve; l&igrave;: &ldquo;Si lamenta della Yamaha lenta? Faccia cambio con la mia Honda&rdquo;. Il primo confronto diretto tra i tre italiani avvenne a marzo, nei test IRTA di Barcellona, e quelli che erano soltanto sospetti furono confermati dal cronometro: Rossi abbass&ograve; di otto decimi la pole dell&rsquo;anno prima e la sua moto risult&ograve; di nove km/h pi&ugrave; veloce della migliore delle M1.  L'esordio a Suzuka  Un mese dopo a Suzuka, nel GP inaugurale, si diedero appuntamento tredici 500 e nove MotoGP: tre Honda per Rossi, Tohru Ukawa e la wild card Shinichi Itoh, le tre Suzuki di Kenny Roberts Jr, Sete Gibernau e Akira Ryo, le Yamaha di Max Biaggi e Carlos Checa e l&rsquo;Aprilia di Regis Laconi. Complice la pioggia, a fare il ritmo furono i piloti di casa, Itoh e Ryo. Rossi infil&ograve; l&rsquo;occasionale compagno di marca all&rsquo;ottavo giro, trovandosi a un secondo e tre decimi dalla Suzuki gommata Dunlop. Colmato il gap, al 16&deg; giro Valentino port&ograve; l&rsquo;attacco decisivo in staccata e da l&igrave; non perse pi&ugrave; la posizione, concedendosi anche il lusso di allungare nell&rsquo;ultimo giro. In Sud Africa invece un errore nella tornata conclusiva gli cost&ograve; il bis, a beneficio di Ukawa mentre Capirossi si tolse lo sfizio di conquistare l&rsquo;ultimo gradino del podio.  Poi venne il cinque maggio e lo sport italiano non sarebbe pi&ugrave; stato lo stesso. A Jerez, nemmeno una sportellata ricevuta al secondo giro da Kenny Roberts Jr e la concomitante fuga di Ukawa impedirono a Rossi di prendersi il secondo successo stagionale. Con lui sul podio Kato e Ukawa, mentre Capirossi fu medaglia di legno e Biaggi, vittima di una partenza anticipata, incapp&ograve; nella bandiera nera per non aver effettuato lo stop-and-go nei tempi previsti. Aggiungendo la caduta in Giappone dopo aver messo la ruota davanti sulla riga bianca e il nono posto in Sud Africa per un guaio alla frizione, il romano si trov&ograve; al penultimo posto della classifica con la miseria di sette punti dopo tre round: soltanto Pere Riba, attuale capotecnico di Jonathan Rea, ne aveva di meno. Rimontare 61 punti a Rossi, in fuga con 29 lunghezze di vantaggio sul compagno Ukawa, apparve subito un&rsquo;impresa disperata. E il nervosismo sal&igrave; al punto che al Mugello, di fronte al &ldquo;no&rdquo; degli uomini di Iwata a concedergli l&rsquo;hospitality Yamaha per la cena con i suoi tanti ospiti, parenti e amici, Max lanci&ograve; il proprio scooter a tutta velocit&agrave; contro il tendone in questione&hellip; Rossi imbattibile  A differenza della sua Inter, che il 5 maggio gett&ograve; alle ortiche inopinatamente lo scudetto all&rsquo;ultima giornata, Rossi non perse pi&ugrave;. Valentino vinse sette GP consecutivi, serie mai inanellata in precedenza (e mai pi&ugrave; ripetuta in seguito). Ci&ograve; unito alle prestazioni incostanti dell&rsquo;unico dotato della sua stessa moto, Ukawa, costretto anche a saltare la gara di Donington per un volo a 200 km/h alla curva Craner, port&ograve; all&rsquo;archiviazione della pratica gi&agrave; alla sosta: con 220 punti guadagnati su un massimo di 225, Rossi si trov&ograve; con 96 lunghezze di vantaggio su Ukawa, primo inseguitore, e il doppio del bottino di Biaggi, diventato terza forza. Alla ripresa, vincendo a Brno e con il concomitante zero del fuggitivo, tradito dal pneumatico posteriore, Max credette per qualche giorno di poter emulare Steven Bradbury, sei mesi prima diventato campione olimpico sui 1000 metri short track grazie alle disgrazie altrui. Invece, sotto l&rsquo;acqua dell&rsquo;Estoril e di Rio, Rossi torn&ograve; a far valere la sua legge. E proprio in Brasile, grazie alla caduta di Ukawa al 2&deg; giro, divenne aritmeticamente campione, primo e unico iridato in quattro classi. Una gioia festeggiata con la t-shirt con davanti la scritta &lsquo;Ecco perch&eacute; ho vinto il Mondiale MotoGP 2002&rsquo; e sul retro un cruciverba di 240 caselle. Ammettendo: &ldquo;Ero convinto che la 500 andasse pi&ugrave; forte, sbagliavo clamorosamente&rdquo;. MotoGP, Enea Bastianini: &ldquo;Inferiorit&agrave; tecnica nel 2022? La vivo come una sfida&rdquo;       

Il 2002 coincise con l&rsquo;arrivo dell&rsquo;Euro e delle mille quattro tempi: il primo anno della MotoGP venne dominato dal binomio Rossi-Honda

MotoGP Story: il 2002, l'alba di una nuova era

Ognuno ha i suoi gusti, ovviamente, e a noi la sfida SBK 2021 piace assai. Toprak Razgatlioglu e Johnny Rea se le sono date di santa ragione da inizio campionato sino San Juan del Villucum e, cosa ancor pi&ugrave; bella, si contenderanno il titolo di categoria nel finale di Mandalika.  Le derivate di serie hanno spesso deciso le sorti nella tappa conclusiva di stagione. Senza andare troppo a ritroso nel tempo, vi citiamo sette annate in cui a contendersi l&#39;alloro vi erano due o tre nomi in lizza. Ci riferiremo, magari lasciandoci andare qualche lacrimuccia nostalgica, a duelli che rimarranno per sempre nei nostri cuori.  E pure nei vostri, gi&agrave; lo sappiamo. Iniziamo con il 1998, quando a Sugo si presentarono in tre papabili di successo: Troy Corser, Carl Fogarty e Aaron Slight. Andiamo avanti passando al 2002 di Imola, dove Colin Edwards e Troy Bayliss scrissero una pagina pi&ugrave; unica che rara. Passiamo a Magny-Cours 2004, sede del braccio di ferro Regis Laconi-James Toseland. Ancora Francia, per James contro Nori Haga, nel 2007. Poi, Portimao e Nitronori a vedesela con Ben Spies. Max Biaggi ebbe la meglio a Nevers nel 2012, facendo abbassare la testa di Tom Sykes. Sylvain Guintoli riusc&igrave; a battere lo stesso Sykes nella notte del Qatar 2014.  Vota il sondaggio: Rea o Razgatlioglu, chi si laureer&agrave; campione a Mandalika?  Sugo trad&igrave; Corser e premi&ograve; Foggy. Imola festeggi&ograve; Edwards     Troy aveva siglato la pole, guidava la classifica 1998 e aveva le carte in regola per uscire da Sugo con il numero 1. Per&ograve;, la festa del gi&agrave; iridato 1996 e successivamente 2005, cess&ograve; ancor prima di cominciare. Un brutto volo lo tolse di scena durante il warm up, dal quale ne usc&igrave; malconcio e con le ossa rotte.  Niente Sugo per Corser, perci&ograve; il piatto fu spartito da Carl Fogarty e Aaron Slight. Pessima l&#39;idea HRC di montare sulla RC45 un propulsore nuovo, pi&ugrave; potente che mai e super ufficiale: il neozelandese fatic&ograve; a domarne il carattere, mentre l&#39;inglese si piazz&ograve; bene, meglio dello sfidante, titolandosi per la terza volta in carriera.  Nel 2002, Colin Edwards fece i conti con un altro Troy. Era Bayliss, giunto al Santerno con un solo punto di svantaggio dall&#39;americano. L&#39;austaliano ne contava 501, il pilota del team Castrol 502. Prima di passare entrambi alla MotoGP, tenevano molto a primeggiare, poich&eacute; gi&agrave; detentori di un mondiale a testa. Lo statunitense releg&ograve; il canguro al secondo posto.  Magny-Cours magnanima per Toseland due volte, con Biaggi una     Il tracciato di Nevers e il numeroso pubblico attesero con fragore l&#39;idolo locale Regis Laconi, schierato dal team Ducati Fila. Pure James Toseland correva per la stessa squadra e, giusto per rendere il tutto pi&ugrave; avvincente, era il lizza per&nbsp; il titolo, proprio come il francese.&nbsp;  Lotta di nervi pi&ugrave; che di manovre, caratteristica farevole all&#39;inglese, che la spunt&ograve;. Per il pianista di Sheffield fu il primo allora, poi ne arriv&ograve; un altro. Sempre l&igrave;, nel 2007, ovvero tre anni pi&ugrave; tardi. Il portacolori Honda pieg&ograve; Noriyuki Haga, allora pilota Yamaha.  Di mondiali, Max Biaggi se ne intendeva gi&agrave; prima di Magny-Cours 2012, quando batt&egrave; per solo mezzo punto Tom Sykes, L&#39;Aprilia e il Corsaro fecer&ograve; bis in SBK, il britannico si riscatt&ograve; l&#39;anno dopo, riportando a Kawasaki quanto fatto nel 1993 da Scott Russell.  Portimao meravigliao per Spies, notte magica quella di Guintoli a Losail     Povero giapponese (agonisticamente parlando) che brutto fu per lui perdere nuovamente. Eppure, a Portimao avrebbe potuto farcela, Nitro Nori. Se non ci fosse stato un caparbio e rookie come Ben Spies, intenzionato a passare in MotoGP dopo aver espletato la pratica SBK.  Cos&igrave; ando: Texas Terror dette a Yamaha il titolo, beffando la Rossa guidata dall&#39;alfiere con gli occhi a mardorla. Il Portogallo risult&ograve; favorevole alla R1condotta dal pluricampione AMA Superbike. Come fu felice il Qatar per Sylvain Guintoli.  Il francese si impose nella notte di Losail illuminata artificialmente a giorno. In luce lui e la RSV4, buio per Tom Syles, sconfitt&ograve; malgrado sulla carena della sua Ninja ci fosse il numero 1. Quell&#39;epilogo resta il pi&ugrave; teso degli ultimi anni, perch&eacute; la conclusione del 2020, all&#39;Estoril, ha visto Johnny Rea battere Scott Redding. Ma nessuno dubitava potesse riuscirci.  MotoGP, la lettera d&#39;amore della Yamaha M1 a Rossi: &quot;Sei parte di me&quot; 

Toprak e Johnny si sono contesi il titolo dal debutto di Arag&ograve;n sino alla tappa finale di Mandalika, regalando duelli e incertezza, ancora pi&ugrave; godibili delle lotte vista tra Fogarty e Slight, Edwards e Bayliss, Haga e Spies, Biaggi e Sykes

Razgatlioglu-Rea, la sfida SBK pi&ugrave; bella degli ultimi anni

        La Superbike si appresta a laureare, al Mandalika Circuit, il campione del Mondo 2021. Ma prima di farlo &egrave; costretta a richiamare all&rsquo;appello l&rsquo;unico Marchio incapace di vincere almeno una manche stagionale. Fabio Quartararo non ha semplicemente vinto il titolo della MotoGP. In Francia, dove lo stesso presidente Emmanuel Macron si &egrave; immediatamente complimentato via Twitter con il pilota della Yamaha, attendevano un campione della classe regina dall&rsquo;inizio del Motomondiale. E in particolare dai tempi della &ldquo;generazione maledetta&rdquo;, che a cavallo tra gli anni &rsquo;70 e &rsquo;80 mise in mostra grandi talenti. Ma per gran parte di loro, il destino fu tragico. Quartararo ha &ldquo;vendicato&rdquo; l&rsquo;onore. Duelli da leggenda: Ekerold contro Mang al N&uuml;rburgring I pionieri del motociclismo transalpino   Nel 1975 Patrick Pons, a soltanto 24 anni, pubblic&ograve; un&rsquo;autobiografia, scritta assieme al giornalista Jacques Bussillet dal titolo profetico: &ldquo;Scommettere sulla fortuna&rdquo;. Il pilota raccontava i suoi inizi nelle corse e la sua folgorante irruzione nel Motomondiale. Sebbene avesse corso soltanto due stagioni iridate, nel 1974 chiuse terzo sia nella 250 che nella 350, facendo addirittura meglio rispetto a Michel Rougerie, che l&rsquo;anno prima era stato terzo nella 250. A distanza di tanto tempo, quel libro potrebbe sembrare &ldquo;presuntuoso&rdquo; considerando il percorso ancora breve di Pons, e invece racconta l&rsquo;impulso vitale e passionale di quegli anni del motociclismo francese, che viveva la generazione pi&ugrave; ricca nella Velocit&agrave;. Prima del 1970, infatti, la presenza dei piloti transalpini nel Motomondiale era stata quasi invisibile. Per trovare gesta da ricordare, infatti, serviva tornare al 1954, quando a Reims l&rsquo;eroe locale Pierre Monneret si era aggiudicato le gare di 350 e 500. Da allora, servirono 15 anni per tornare a sentire la Marsigliese sul podio del Mondiale: il merito fu di Jean Aur&eacute;al, vincitore a Jarama nel 1969 in 125. I risultati pi&ugrave; significativi, in quel periodo, erano venuti dalla 500, grazie a Christian Ravel ed Eric Offenstadt, che con la Kawasaki H1 500 cercarono di contrastare l&rsquo;imbattibile duo italiano Giacomo Agostini-MV Agusta. Offenstadt non fu soltanto un buon pilota, ma anche un ingegnere brillante, che svilupp&ograve; tra le altre, anche l&rsquo;innovativa SMAC, capace di ottenere buoni risultati. Spesso, una formula promozionale fornisce impulso al vivaio di un Paese. Nel caso della Francia, negli anni &rsquo;70 la generazione capace di rivoluzionare la storia del motociclismo di quel Paese fu figlia della Coppa Kawasaki. Fu il settimanale Moto Revue, in collaborazione con il locale importatore della Kawasaki, a generare il trofeo in cui correvano le potenti Kawasaki H1. Inoltre la FederMoto francese cre&ograve; il campionato Criterium, altra formula promozionale che ospitava le 250, 500 e 750, moto di serie ma sufficientemente potenti per far distinguere chi aveva davvero qualit&agrave; e talento. Pons, per esempio, emerse dalla Coppa Kawasaki. Il motociclismo guadagn&ograve; notevole popolarit&agrave; e il numero di piloti aument&ograve;. Merito anche di Sonauto, l&rsquo;importatore francese della Yamaha, che si incaric&ograve; di riempire le griglie di partenza con le nuove TZ 250 e 350, e di Gauloises, sempiterno sponsor del tabacco che ha accompagnato la Yamaha per tre decadi nel Mondiale. Il boom e poi gli incidenti degli anni '80  Sonauto, per esempio, prese Pons per il suo team nel 1973, mentre Rougerie era gi&agrave; nel team ufficiale Harley-Davidson, e in quello stesso 1973 ricadde sulle sue spalle la responsabilit&agrave; di ottenere grandi risultati dopo la scomparsa di Renzo Pasolini nell&rsquo;incidente di Monza con Jarno Saarinen. Rougerie divenne un big nel Mondiale con un percorso progressivo, al contrario Pons fu immediatamente grande protagonista. E i suoi risultati ebbero un effetto-valanga, con numerosi giovani vogliosi di emularlo. Al punto che negli anni &rsquo;70 nessuna Nazione era pi&ugrave; rappresentata della Francia: molti piloti correvano nella Velocit&agrave;, moltissimi nell&rsquo;Endurance, del resto la Francia &egrave; il Paese che ospita il Bol d&rsquo;Or, la gara pi&ugrave; antica della specialit&agrave;. Un nome mitico dell&rsquo;Endurance, Christian Leon, arrivava dalla Velocit&agrave;, dove aveva ottenuto buoni risultati sulla Kawasaki H1R e sulla K&ouml;nig 500, prima di formare una coppia straordinaria per le gare di durata con Jean-Claude Chemarin. Assieme a Rougerie e Pons, presto frequentatori del podio nel Mondiale, arrivarono numerosi connazionali: Jean-Fran&ccedil;ois Bald&eacute;, Jean-Louis Guignabodet, Olivier Chevallier, Patrick Fern&aacute;ndez, Eric Saul, Gerard Choukroun, Thierry Espie, Christian Sarron, Guy Bertin, Christian Estrosi (oggi sindaco della Nizza che ha dato i natali a Quartararo), Jacque Boll&eacute;, Patrick Plisson, Alain Michel, Jacque Hutteau, Bernard Fau, Jean-Claude Selini, Raymond Roche, Marc Fontan&hellip; La lista &egrave; interminabile, e quasi tutti questi piloti sono saliti sul podio o hanno vinto almeno un GP. La sorpresa &egrave; che Pons, il motore di questa generazione, non riusc&igrave; mai a vincere un GP nelle classi &ldquo;tradizionali&rdquo;. Ma fu proprio lui a conquistare il primo titolo per la Francia, imponendosi nel Mondiale della meteora 750 nel 1979, riuscendo a rimanere lontano dalla cattiva sorte che l&rsquo;aveva accompagnato negli anni precedenti, in cui era rimasto coinvolto in incidenti molto seri. Si concentr&ograve; sulla 750, dove lott&ograve; con Michel Frutschi e Johnny Cecotto, imponendosi all&rsquo;ultima prova. Quel titolo fu la ricompensa per quasi un decennio di grande slancio per la Francia, che fu protagonista ma non ebbe mai un pilota in grado di trionfare in modo pieno. And&ograve; vicino al titolo Rougerie, vice campione della 250 nel 1975, quando pur ottenendo pi&ugrave; punti rispetto a Walter Villa, questi batt&eacute; il transalpino in virt&ugrave; della regola degli scarti. Lo stesso Alain Michel fu vice campione tra i sidecar nel 1978, mentre Patrick Fern&aacute;ndez fu secondo nella 350 nel 1979. Quel titolo, almeno per le classi principali, non arrivava, ma era vicino. Per molti, per&ograve;, il destino fu tragico. All&rsquo;inizio degli anni &rsquo;80, per molti di loro arrivarono incidenti fatali. Nel 1980 mor&igrave; Chevallier alla Moto Journal 200, gara di precampionato disputata al Paul Ricard. Pons mor&igrave;, colpito proprio da Rougerie, a Silverstone, durante il GP Gran Bretagna della 500. Leon mor&igrave; in Giappone, durante una prova Endurance con la Suzuki. E Jean-Bernard Peyr&eacute;, altro pilota di riferimento delle gare di durata, mor&igrave; in un incidente stradale. Nel 1981 Rougerie perse la vita nel GP Jugoslavia, colpito dal suo compagno di squadra Roger Sibille. Choukroun, che aveva abbandonato le moto per le auto, mor&igrave; nel 1983. In tre anni, il Paese perse buona parte dei protagonisti di quella generazione. E non soltanto. Christian Sarron, giovane di grande avvenire, per poco non lasci&ograve; le competizioni a causa dei problemi fisici dovuti alla tante cadute. Mentre Bald&eacute;, sulle ottime Kawasaki KR 250 e 350, fu poco fortunato nel Mondiale, chiudendo da vice campione della 250 nel 1981. Tournadre e Sarron   Quel primo titolo di una delle categorie &ldquo;classiche&rdquo; arriv&ograve; nella maniera pi&ugrave; improbabile. Un modesto impiegato delle poste che si era lanciato nelle gare del Mondiale con la sua Yamaha privata, Jean-Louis Tournadre, fu una sorpresa del 1981 per poi trasformarsi nel pi&ugrave; inatteso campione del Mondo della 250 l&rsquo;anno successivo, in un titolo che ebbe parecchio di francese. Decisiva fu proprio la gara transalpina di Nogaro: i piloti vi giunsero per il primo GP europeo dell&rsquo;82, ma i big si rifiutarono di correre, giudicando inadeguate le condizioni del circuito. Al boicottaggio non parteciparono i piloti locali, che decisero di correre. Tournadre vinse con la sua modesta TZ 250, e con una portentosa regolarit&agrave; si mantenne in vetta al campionato, lottando con Toni Mang, pilota ufficiale Kawasaki. La costanza di Tournadre ebbe successo e il francese si laure&ograve; campione del Mondo per un solo punto su Mang, regalando alla Francia il primo titolo. Merito anche dell&rsquo;aiuto ricevuto dai connazionali Fern&aacute;ndez ed Estrosi nell&rsquo;ultima gara di Hockenheim... L&rsquo;anno dopo torn&ograve; in auge Sarron, vice campione della 250 nel 1983, anno in cui i francesi ripresero a popolare la griglia, con sei transalpini tra i primi 11 nella classifica della categoria di mezzo. Fontan e Roche furono sesto e decimo nella 500, Selini sesto nella 125. Preludio al titolo di Sarron nella 250 nel 1984, vinto di autorit&agrave;, negli ultimi fuochi della &ldquo;generazione maledetta&rdquo;. Il trionfo di Sarron diede paradossalmente il via alla flessione del movimento francese nella Velocit&agrave;. Il campione della 250 torn&ograve; nella classe regina, dove tra 1979 e 1981 aveva faticato, e pur disponendo di una Yamaha ufficiale dovette arrendersi all&rsquo;irresistibile scuola americana. Il suo stile di guida, di grande finezza, non era perfetto per le potenti 500, ma gli permetteva di fare la differenza sul bagnato, come quando vinse a Hockenheim nel 1985. Ruggia, Jacque e Quartararo   Fu il suo unico successo in top class con una Yamaha blu che ricorda vagamente quella di Quartararo. Vennero poi gli anni dell&rsquo;altro Sarron, il fratello minore Dominique in 250 (senza ottenere i risultati di Christian), poi Jean-Philippe Ruggia, Mattioli e Igoa. Ebbe successo Michel, campione nei sidecar nel 1990 un anno prima di ritirarsi. Roche lasci&ograve; i GP per la Superbike, dove sempre in quel &rsquo;90 regal&ograve; alla Ducati il primo titolo mondiale. Il motociclismo in Francia, a quel punto, sembr&ograve; tornare indietro di 20 anni, all&rsquo;epoca prima della &ldquo;generazione maledetta&rdquo;. I titoli di Olivier Jacque, Arnaud Vincent, Mike Di Meglio, gli sporadici exploit di Regis Laconi (e il titolo SBK di Sylvain Guintoli), sono stati il ponte verso il nuovo boom, dettato dalla doppietta in Moto2 di Johann Zarco,&nbsp;poi diventato protagonista in MotoGP. Ma &egrave; stato Fabio Quartararo, il predestinato, a garantire alla Francia il vero &ldquo;risarcimento&rdquo; per ci&ograve; che non era riuscita a raccogliere.       

Molto prima di Fabio, il paese transalpino visse il boom degli anni &rsquo;70, con grandi piloti accomunati da un destino tragico come Pons e Rougerie

MotoGP: Fabio Quartararo ha riscritto la storia del motociclismo francese

Domenica 30 settembre 2001. Per chiosare degnamente un campionato fantastico, la SBK consum&ograve; l&#39;atto finale al Santerno, nel ritorno in azione delle moto derivate di serie accolto dal grande pubblico. Nessun posto meglio di Imola avrebbe potuto sventolare l&#39;ultima bandiera a scacchi della stagione.  Cielo grigio su, foglie gialle gi&ugrave;: l&#39;atmosfera magica dell&#39;Enzo e Dino Ferrari tocc&ograve; l&#39;apice di intensit&agrave; quando dal garage Infostrada usc&igrave; la 996R numero 21, guidata dal neo iridato Troy Bayliss. Anzich&eacute; proporre i &quot;soliti&quot; colori, la Rossa dell&#39;australiano era argentea, nel voluto omaggio ad una corsa disputatasi proprio l&igrave;, nel 1972.  Quella 200 Miglia di Imola vinta da Paul Smart, deceduto ieri, vincente 49 anni fa, per una doppietta siglata da Borgo Panigale insieme a Bruno Spaggiari. L&#39;inglese e l&#39;italiano trionfarono di fronte ad una folla festante e, per ricordarne la gioia, il Marchio bolognese ebbe pi&ugrave; avanti la belissima idea di portare in carrozzeria la moto dell&#39;ex carrozziere di Taree, vestito di nero come si conveniva per la speciale occasione.  Torri Gemelle, piadina e clavicola rotta: l&#39;abbraccio tra Bayliss e Laconi     Tutti noi ricordiamo quel maledetto 11 settembre del 2001. Gli americani pi&ugrave; di tutti, comprensibilmente. Sulla griglia di partenza della SBK conclusasi a Imola avevamo Colin Edwards con il quarto crono e Ben Bostrom, quinto. Attorno al texano e al californiano, nomi quali Troy Corser, Neil Hodgson, Pierfrancesco Chili, Akira Yanagawa, Stephan Chambon. Gregorio Lavilla e Alessandro Gramigni.  Prima dello start, il minuto di silenzio. Veloce o infinito, non sapremmo definirlo. Una sirena dett&ograve; il tempo, fermatosi improvvisamente, ripresosi senza preavviso. E poi, i motori accesi dagli avviatori a ruota. Il rombo collettivo, l&#39;odore, la piadina con la salsiccia. L&igrave; c&#39;era fame di corse e di vita, Signore &amp; Signori.  La gara, fantastica, pi&ugrave; bella di Imola 2002. A battagliare per la vittoria si ritrovarono in tanti, su modelli diversi. Nel gruppo scatenato, Troy Bayliss fin&igrave; a terra malamente in uscita della Rivazza. La 996R venne centrata in pieno dalla RSV Mille di Regis Laconi, anch&#39;egli gi&ugrave;. Tra i due l&#39;abbraccio, doloroso per l&#39;australiano, che si ritrov&ograve; con una spalla spezzata. Mass&igrave;, tanto il campionato era gi&agrave; suo.  I trionfi di Xaus e Laconi, per la prima volta sulla vetta SBK     Vederlo fare pip&igrave; sul muretto che divideva il rettilineo di partenza dalla tribuna centrale, non schif&ograve; il pubblico, anzi. Ruben Xaus piaceva cos&igrave; e poi, diciamocelo, chi di non ha mai avuto il richiamo impellente della vescica? Figuriamoci a precedere Gara Uno, gi&agrave; carica per i fatti suoi.  Xaus voleva sbloccarsi, e ci riusc&igrave;: la sua 996R aveva entrambe le carene bucate, infatti, alla scritta Infostrada mancava qualche lettera, bruciata nel contatto con cordoli ed asfalto. Il catalano era tutto o niente. Quella domenica fu tutto per lui, sul podio insieme a Corser ed Edwards.  Pi&ugrave; tardi entrambi out: tra Troy e Colin uno spaventoso contatto alla Variante Villeneuve, ed il ritiro dalla seconda manche. Il pilota Aprilia rotol&ograve; nella sabbia, quello Honda torn&ograve; con la VTR ed il numero 1 moscio al box Castrol. Strada quindi aperta per Laconi: Regis era forte e la bicilindrica veneta pure. Il francese salut&ograve; tutti dall&#39;alto, in compagnia di Xaus e Tady Okada. I motori si spensero, la piadina era stata mangiata, venne l&#39;ora di tornare a casa. 

Gi&agrave; centrato il titolo, il team Infostrada e Troy gareggiarono al Santerno con una 996 dalla livrea argentea, in onore della 200 Miglia 1972 vinta dall&#39;inglese, seguito dall&#39;italiano Bruno Spaggiari

SBK, Imola 2001: l&#39;omaggio di Ducati e Bayliss a Paul Smart

Alzando al cielo il trofeo del campione del Mondo della classe 500, Kenny Roberts Junior apprezz&ograve; particolarmente, tra le tante congratulazioni ricevute, quelle di pap&agrave; Kenny, piuttosto parco di buone parole sino a quel GP Brasile, l&rsquo;occasione in cui il figlio si laure&ograve; Re della mezzo litro a due tempi, da tutti ritenuta la categoria pi&ugrave; difficile: &ldquo;Sapevo che Kenny aveva il potenziale per vincere &ndash; disse King Kenny, facendo cadere qualche lacrima dagli occhi azzurri &ndash; e vi dir&ograve;: lui ha pi&ugrave; stoffa di quanto si pensi, pu&ograve; anche fare meglio&rdquo;. Ebbene s&igrave;, nel 2000 Kenneth Leroy Roberts Junior regal&ograve; alla Suzuki un titolo che mancava dai tempi di Kevin Schwantz, texano trionfatore nel 1993 sulla quattro cilindri di Hamamatsu; come il connazionale americano, l&rsquo;allora ventisettenne californiano eguagli&ograve; l&rsquo;impresa con il medesimo numero di quattro successi, a Sepang, Jerez, Barcellona e Motegi. Non troppi, ma sufficienti in una stagione caratterizzata dall&rsquo;irregolarit&agrave; di tanti rivali e dai peccati di inesperienza del rookie, e futuro dominatore, Valentino Rossi.  SBK, Troy Bayliss: &ldquo;Io che sognavo a occhi aperti&rdquo;  Figlio d&#39;arte   Quattro erano anche le affermazioni con le quali il giovanotto di Mountain View aveva debuttato sulla RGV gestita dal team di Garry Taylor, squadra anglo-nippo-americana che, sino all&rsquo;arrivo di Kenny, gravitava a centro classifica. Invece, all&rsquo;inizio del 1999 un doppio colpo, tra Sepang e Motegi. I senatori della 500 capirono che Junior maturava, tramutandosi da &ldquo;figlio di pap&agrave;&rdquo;, o peggio ancora raccomandato, in un serio e credibile protagonista del Motomondiale. In quel &lsquo;99 nel box Suzuki si moltiplicarono le visite. Vuoi per i risultati eccellenti - primi posti anche al Sachsenring e in Argentina, podi ad Assen, Brno, Valencia e Rio - complice anche un lavoro di sviluppo svolto dal capotecnico Warren Willing: &ldquo;Abbiamo tanto di quel materiale nuovo da provare &ndash; le parole di Roberts &ndash; e non sappiamo se riusciremo a usarlo tutto&rdquo;.    I reparto corse giapponese era intenzionato a tornare in vetta al mondo delle due ruote e, a dar man forte a Kenny c&rsquo;era il nipponico Nobuatsu Aoki, capace di comunicare in madrelingua con gli ingegneri di Hamamatsu. In quell&rsquo;ultima stagione del Primo Millennio, Mick Doohan abdic&ograve;, per il grave infortunio nelle prove del GP Spagna. Il diretto erede in Honda divenne lo spagnolo Alex Criville, gran conoscitore della NSR marchiata Repsol e futuro campione del Mondo. Max Biaggi capitanava una compagine Yamaha con la non irresistibile YZR e costituita da Carlos Checa, Norick Abe, Simon Crafar e Regis Laconi. Roberts Senior dirigeva il progetto Modenas K3 e aveva appena visto volar via dal nido protettivo, quanto soffocante, il figlio Junior, secondo nella graduatoria 1999 con la Suzuki. Il prestigioso piazzamento invogli&ograve; lo sponsor Telefonica a vestire le RGV per le stagioni successive, a partire dal 2000 sino alla MotoGP del 2002.  L&#39;anno del titolo iridato   Forte della nomea di vice campione, Roberts cominci&ograve; il Nuovo Millennio con un sesto posto in Sudafrica, poi arrivarono due vittorie tra Malesia e Spagna, intervallate dal secondo gradino del podio a Suzuka. Si stavano mettendo benissimo le cose per Garry Taylor, malgrado qualche commento che rischi&ograve; di spazientire il carismatico manager, il quale rischi&ograve; di smarrire l&rsquo;aplomb britannico: &ldquo;Dite che abbiamo vinto a Sepang e Jerez per merito di due gare interrotte anzitempo? Io non la vedo cos&igrave;: Kenny si trovava in testa in entrambi i casi ed era pronto a spingere anche se fosse piovuto forte&rdquo;.  &Egrave; vero, quel braccio alzato dal californiano in entrambi i casi non piacque proprio a tutti, ma il regolamento parlava chiaro: in caso di pioggia sull&rsquo;asfalto asciutto, il leader della corsa &egrave; il primo a dover segnalare la situazione; stesso atteggiamento tenuto dagli inseguitori e confermato dai marshall, che sbandierarono le interruzioni anticipate. Junior rimase tranquillo e concentrato, consapevole dei propri mezzi e limiti: &ldquo;Sfrutto al massimo il potenziale della mia Suzuki. Soffriamo in accelerazione, a fine rettilineo e l&rsquo;erogazione &egrave; brusca Per&ograve;, allo stesso tempo, la RGV &egrave; molto equilibrata; magari non eccelle in alcuna caratteristica, ma si fa guidare con armonia&rdquo;. L&rsquo;armonia era dettata dal polso destro dello statunitense, allenato nei ranch di pap&agrave;. A Modesto in primis, a Barcellona in seguito, la filosofia &ldquo;tutta di traverso&rdquo; fece il giro del Mondo, conquistando enormi traguardi. La capacit&agrave; di controllare e, addirittura, prevedere le reazioni di telaio e gomme, proveniva dalle intere giornate spese praticando Dirt Track, specialit&agrave; Made in USA, esportata all&rsquo;estero e rivelatasi decisamente formativa e assolutamente determinante per Kenny Junior, impegnato a domare i quasi 200 cavalli della Suzuki. Per una potenza erogata da un effetto turbo, il californiano gestiva tutto nel migliore dei modi: &ldquo;Non potendo superare i rivali in accelerazione o in velocit&agrave; di punta, devo attaccarli in frenata, dare tutto a centro curva, aprire il prima possibile in uscita. Soltanto cos&igrave; posso giocarmi le vittorie&rdquo; precis&ograve; il pilota in diverse occasioni, riferendosi alle doti trasmesse dal padre, vero marziano in 500 e mattatore in tre campionati di fila, dal 1978 al 1980.  Pap&agrave; Kenny aveva cambiato il sistema, introducendo i primi concetti di professionismo, pretendendo denaro per tutti (in particolare per se stesso), sicurezza nei circuiti e la giusta considerazione. Il californiano il sistema, sia quando era in sella che quando inizi&ograve; la carriera di team manager. Passare da lui poteva segnare la svolta di un pilota o la discesa. Junior lo sapeva, infatti, nel Team Marlboro Yamaha allestito dal padre, il giovane di casa Roberts parlava poco e niente, pensando soltanto a scendere in pista, rimanendo nell&rsquo;ombra del genitore che spieg&ograve;: &ldquo;Denaro? Quale denaro? Mio figlio prender&agrave; i soldi quando inizier&agrave; a vincere, non prima&rdquo;. Questo fu uno dei diversi motivi che spinsero Junior a separarsi da Senior, abbracciando la causa Suzuki, realt&agrave; in cui il rampollo ricevette ingaggio e premi notevoli, conforto e una meritata importanza. Un solo ritiro nel 2000 per lui, ad Assen, ma nel frattempo era arrivato il successo a Barcellona. Mentre l&rsquo;ultimo primo posto della carriera, a Motegi, sarebbe giunto con il titolo della 500 gi&agrave; in tasca e altre parole ricevute dal babbo: &quot;Abbiamo la dimostrazione che mio figlio, quando tutto &egrave; a posto, pu&ograve; battere chiunque&quot;. I battuti erano Rossi, iridato in 250 e al primo anno in Honda ufficiale. E poi Biaggi, quattro volte campione nella &ldquo;dueemmezzo&rdquo; e prima punta Yamaha, il futuro campione SBK Carlos Checa, il numero 1 in carica Alex Criville e altri come Loris Capirossi, Alex Barros, Tadayuki Okada, Tetsuya Harada e Garry Mc Coy. Scusate se &egrave; poco.    La popolarit&agrave; ottenuta e i parecchi dollari non cambiarono particolarmente lo stile di vita di Junior, dotato di un passo lento e possente nel paddock ed espressioni da vero cowboy e per nulla disdegnante la cucina del suo Paese, accompagnata da qualche buona birra. Contrariamente a Barry Sheene - titolato 1976 e 1977 in 500 con la Suzuki - e proprio come Kevin Schwantz e Franco Uncini, Kenny volle tenere il numero 1 sulla Suzuki l&rsquo;anno successivo. Se l&rsquo;inglese prefer&igrave; il suo iconico 7, il texano lasci&ograve; l&rsquo;amato 34 sfoggiando il numero 1. Roberts fece lo stesso, pi&ugrave; o meno. Ma il 2001 port&ograve; soltanto un podio centrato da campione in carica. Finita quella stagione, la RGV 500 due tempi and&ograve; in pensione, lasciando spazio alla GSV-R 990 a quattro tempi: &ldquo;La differenza &egrave; la stessa provata nel passaggio dalle Cross 250 due tempi a 450 quattro tempi&rdquo; spieg&ograve; Kenny, chiamato a uno sviluppo complicato e macchinoso di fronte a un&rsquo;agguerrita concorrenza. Roberts ottenne due podi in MotoGP con la Suzuki, poi torn&ograve; all&rsquo;ovile: la KR 211V di pap&agrave; Kenny lo accolse e lui fin&igrave; sesto nella classifica finale del 2006 con due terzi posti, ricevendo le ultime parole da chi lo aveva lanciato nel Motomondiale: &ldquo;La nostra &egrave; una buona moto, per&ograve; &egrave; mio figlio a fare la differenza&rdquo;. Un modo per esaltare le doti dell&rsquo;ultimo iridato nei GP con la Suzuki, prima dell&#39;arrivo di Joan Mir.&nbsp;  La storia della Suzuki, tra tradizione e famiglia 

21 anni fa, il figlio di King Kenny precedeva Rossi, Biaggi e Capirossi, e si aggiudicava il Mondiale della 500. Un digiuno interrotto da Joan Mir nel 2020

Kenny Roberts Jr, l&#39;ultimo iridato Suzuki prima di Mir

Nel 2001, Bayliss partiva come mina vagante della stagione. Al seguito di brillanti prestazioni, l&rsquo;Aussie esplose ancora a Monza, di fronte a 100.000 persone accorse in Autodromo. La vittoria di Gara 1, dopo il contatto tra gomito e ginocchio con il campione Colin Edwards, mand&ograve; in delirio i tifosi. Nel pomeriggio, la doppietta. La Ducati aveva trovato una nuova bandiera.    Il drappello australiano sventol&ograve; pi&ugrave; volte, fino al titolo da festeggiare a Imola, con una 996 tinta di argento, in onore di Paul Smart, vincitore della storica 200 Miglia quasi trent&rsquo;anni prima. Non fu un epilogo fortunatissimo, per&ograve;: Troy cadde, coinvolgendo l&rsquo;Aprilia di Regis Laconi. I due si abbracciarono e fin&igrave; con il neoiridato una clavicola spezzata. Meglio pensare al 2002 e al numero 1 da portare in gara.  Paolo Ciabatti: &ldquo;Troy Bayliss &egrave; stato il ducatista per eccellenza&rdquo;  Il 2002     Montecarlo non era Taree, ma ci si stava benone. Non gliene fregava un accidente a Troy di vetrine di lusso, barche lunghe come una pit lane e succinte modelle arriviste. Per lui il Principato era un posto dove poter vivere tranquillo e &ldquo;protetto&rdquo;, perch&eacute; gi&agrave; ospitante colleghi come Loris Capirossi, futuro compagno di team, Biaggi e l&rsquo;amico Doohan. In un test a Kyalami, Davide Tardozzi prese Troy da parte: &ldquo;Mi fai incaz...., ogni volta che si porta in pista una moto nuova, sono soltanto lamentele. Sei il campione, esci e dimostralo&rdquo;. Messaggio ricevuto. Il campione cominci&ograve; il 2002 con sei affermazioni consecutive, da Valencia al Sud Africa. Contenuti i danni nella temibile Sugo, poi ancora davanti, da Monza alla prima manche di Laguna Seca. Dove per&ograve; si svegli&ograve; Edwards, caricato da una livrea a stelle e strisce sulla Honda VTR SP-2. L&rsquo;inerzia del Mondiale cambi&ograve;, a favore del texano. Imola, settembre 2002. Un colpo d&rsquo;occhio degno della Ferrari in Formula 1 e un punto a dividere i due contendenti. Siccome non furono sufficienti i biglietti del botteghino, l&rsquo;organizzatore ricorse ai ticket dei cinema, dei parchi e di ogni attivit&agrave; che prevedesse un ingresso numerato. Quasi tutti erano al Santerno per Troy, alfiere della Ducati che giocava in casa, e che correva per il secondo alloro di fila. L&rsquo;australiano le prov&ograve; tutte, ma l&rsquo;americano aveva una marcia in pi&ugrave;. Gli aggiornamenti portati dal Team Castrol nel dopo-Suzuka e gomme dedicate Michelin consentivano a Colin una guida vellutata, mentre Bayliss era sempre al limite, scomposto.  Sul podio finale, l&rsquo;invasione di pista celebr&ograve; entrambi, poi partenti per altri lidi, la MotoGP. Il vinto si compliment&ograve; con il vincitore. Il Down Under perse il duello ma guadagn&ograve; nel cuore degli appassionati il titolo di sportivo senza confini n&eacute; gelosie.  La MotoGP   La Desmosedici 2003 spingeva dalla quarta alla sesta marcia come la 998 in prima e seconda. Terribile la MotoGP di Borgo Panigale, ben gradita da Troy che, anche sul prototipo, si muoveva come un ginnasta e sfiaccolava a centro curva. Uno show. Per lui, passato al numero 12, tre podi complessivi. Il pi&ugrave; esperto Capirossi ottenne anche un primo posto, a Barcellona. Il debutto del Team Ducati Marlboro risult&ograve; molto soddisfacente e il Motomondiale aveva protagonisti in pi&ugrave;. Nel 2004, qualche pressione in pi&ugrave; da sopportare e una moto non propriamente riuscita misero in difficolt&agrave; TB, che non riusc&igrave; a raccogliere quanto seminato in mesi di allenamento, duro lavoro e adattamento a un paddock non altrettanto festoso. La squadra Ducati era composta da professionisti e personale in gamba, ma al ragazzo di Taree mancavano i &ldquo;suoi&rdquo; uomini, coloro che ne avevano condiviso le gesta in SBK. Un solo podio a Valencia e l&rsquo;addio da Borgo Panigale. Il Team Honda-Pons rappresentava la nuova sfida di Bayliss, che cercava una seconda occasione in MotoGP. Ma la RC211V proprio non gli piaceva, anche perch&eacute; non poteva scalare le marce come usava fare: senza usare la leva della frizione.  Un infortunio in allenamento decret&ograve; il secondo addio, in quel caso al Motomondiale. KIM era convinta: &quot;Troy, torniamo a casa. Non abbiamo bisogno di soldi, lasciamo l&rsquo;Europa e andiamo in Australia. Ritroveremo la nostra serenit&agrave;&quot;. Giammai. Le parole dell&rsquo;onnipresente moglie caricarono il marito come una molla che, nel ritorno in SBK nel 2006, rimbalz&ograve; la forte concorrenza. Portando in alto la (per lui nuova) 999 gommata Pirelli. Dopo essersi sbloccato a Phillip Island, uno score di 12 gradini pi&ugrave; alti, buoni per il secondo iride. La Ducati, richiamandolo alle armi, aveva fatto la scelta giusta e lui pure, con un festeggiamento a Imola che spazz&ograve; via i brutti ricordi del passato. A confermare questa tesi, ecco il GP Valencia 2006 in MotoGP, in una &ldquo;gara premio&rdquo; per Bayliss, chiamato a sostituire l&rsquo;acciaccato Sete Gibernau. In sella a una Desmosedici profondamente diversa da quella abbandonata due anni prima, con coperture Bridgestone uniche nel loro comportamento, Troy riscatt&ograve; in un weekend la reputazione lasciata nel paddock dei GP tempo addietro. Vincendo la corsa, davanti a Capirex e al neocampione Nicky Hayden, Baylisstic zitt&igrave; i critici e pure qualcuno al vertice di Borgo Panigale. Per chi lo conosceva bene, presente nel garage Ducati, il primo posto non rappresent&ograve; una sorpresa. Anzi. Anche se per il grande pubblico, quel giorno &egrave; passato alla storia per il primo flop di Valentino Rossi nel Motomondiale, con la caduta nei primi giri fatale per la corsa al titolo.  &nbsp;Il titolo vinto in SBK nel 2008 e il ritorno nel 2015     Nel 2007 la caccia al tris SBK. A Donington, per&ograve;, l&rsquo;episodio che compromise il cammino ma che lo fece divenire un mito. Caduto nella prima manche, Troy raggiunse zoppicante la Clinica Mobile: &ldquo;Tagliatemi &lsquo;sto c&hellip;. di dito, voglio correre&rdquo;. Massimo Corbascio avrebbe voluto accontentarlo, fu soltanto una grossa emorragia nella zona testicolare a fermarlo. Kim gli consigli&ograve; di rinunciare e lui, a malincuore, abbass&ograve; la testa. Rapite furono le folle: siamo tutti &ldquo;Figli di Troy&rdquo;. Per sempre. Comunque andr&agrave;. And&ograve; che l&rsquo;idolo non si conferm&ograve; campione, per&ograve; grazie a una 1098 nuova di zecca e al suo polso destro ancora lesto, il trentanovenne ottenne nel 2008 il terzo Mondiale della carriera. Bayliss tocc&ograve; nuovamente il Cielo a Magny-Cours poi, con una livrea dedicata all&rsquo;Australia, salut&ograve; con la doppietta di Portimao, consapevole di avere la coscienza a posto. Le valigie potevano essere rifatte: casco, tuta, stivali e guanti sarebbero stati riposti senza il rammarico di aver lasciato qualcosa in sospeso. Uno cos&igrave; verace non se lo sarebbe perdonato.  Sette anni pi&ugrave; in l&agrave;, Troy si sarebbe ripresentato. Per farsi trovare pronto, meno birra e pi&ugrave; pedalate. No problem. Ma era cambiato il motociclismo. Troppa elettronica a gestire tutto e uno stile di guida da rivedere. I piazzamenti a punti australiani e thailandesi non passeranno alla storia, ma di Bayliss &egrave; bello ricordare la voglia di correre, poi rimessa in pista nel &ldquo;suo&rdquo; campionato nazionale. Sempre con la sua Ducati, che ha rappresentato pi&ugrave; volte nel WDW a Misano. A quando la prossima valigia?  SBK, Carl Fogarty: &ldquo;Ducati mi faceva sentire il numero uno&rdquo; 

I trionfi in Superbike, le difficolt&agrave; vissute in MotoGP, fino alla vittoria a Valencia 2006. Nel 2008 l&#39;ultimo titolo iridato&nbsp;

SBK: la carriera di Troy Bayliss (seconda parte)

Oggi &egrave; membro del club &ldquo;Campioni per la Pace&rdquo;, un gruppo di 54 famosi atleti d&rsquo;elite impegnati a portare la pace nel mondo attraverso lo sport, creato da &ldquo;Peace for Sport&rdquo;, una organizzazione internazionale con sede a Montercarlo. In passato per&ograve; &egrave; stato una &ldquo;bandiera&rdquo; del Motomondiale ed ex campione del mondo 250 del 2000 con la Yamaha del team francese Tech3.  Stiamo parlando naturalmente del francese Olivier Jacque, ritiratosi dalle competizioni nel 2007 a causa dei continui guai fisici che ne hanno minato l&rsquo;esperienza in Kawasaki.  Gli inizi   Nato a Villerupt il 29 agosto 1973, il giovane Olivier si mette in mostra nel CEV, il Campionato Europeo Velocit&agrave; (da non confondere con il CEV spagnolo), disputato nelle stagioni 93 e 94. Se nel 93, anno del suo debutto internazionale, chiude 20&deg;, nel 94 vince il titolo platonico di vice campione alle spalle del suo connazionale Regis Laconi.  Il Motomondiale - 250   Il secondo posto nel CEV 1994 gli apre le porte del Motomondiale, nella classe 250 per il 1995. Debutta in Australia ad Eastern Creek su una Honda del team ELF Tech3. In stagione giunge due volte quarto (Inghilterra ed Australia) e chiude al decimo posto con 66 punti  L&rsquo;anno seguente inizia alla grande giungendo tre volte quarto nelle prime 4 gare. In Germania sale per la prima volta sul podio replicandolo in Inghilterra. Centra il primo successo in carriera in Brasile e sale sul podio altre 4 volte. Chiude al terzo posto con 193 punti dietro a Biaggi e Waldmann.  Nel 97 &egrave; ancora in sella alla Honda del team Tech3. Vince in Austria e Brasile cogliendo altri 6 podi e chiudendo il campionato al quarto posto con 201 punti.  Inizia la stagione 98 con due podi in tre gare. In Spagna si infortuna rompendosi i legamenti e salta quattro gare. Torna per il finale di stagione salendo altre due volte sul podio e chiudendo al quinto posto il campionato con 112 punti.  Il 1999 &egrave; l&rsquo;anno della svolta per Tech3 che lascia Honda per abbracciare Yamaha. Al fianco di Jacque arriva il giapponese Nakano. La stagione del francese per&ograve; &egrave; da dimenticare. Salta 5 gare per un infortunio patito in Giappone e rientra solamente in Germania. Vince in Argentina salendo sul podio altre tre volte per finire la stagione al settimo posto con 122 punti.  Il 2000 &egrave; l&rsquo;anno giusto per Jacque per vincere il titolo. Titolo che si gioca contro il compagno di box Nakano e l&rsquo;astro nascente Kato. 3 vittorie ed 11 podi complessivi gli permettono di centrare il titolo con 279 punti, 7 in pi&ugrave; di Nakano.  L&rsquo;avventura in 250 si chiude con il titolo del 2000, 7 vittorie e 34 podi complessivi.  Che fine ha fatto: Shin&rsquo;ya Nakano  La 500   Il titolo in 250 dell&rsquo;anno precedente spalanca le porte della 500 al francese per il 2001, sempre con la Yamaha del team Tech3 e sempre con Nakano come compagno di squadra.  La stagione &egrave; abbastanza complicata nonostante un quinto posto a Valencia come miglior risultato in gara. Chiude 15&deg; con 59 punti.  La MotoGP   Il 2002 vede il debutto delle nuove e potenti 4T in una stagione che vede le nuove moto insieme alle 500 2T. Tech3 parte ancora con le vecchie 2T, ma dopo met&agrave; stagione anche il team francese viene dotato della M1 4T.  Olivier centra un quinto posto come miglior risultato in gara e chiude al decimo posto con 81 punti, con un rimpianto, la gara in Germania rovinata da un errore di Barros.  Nel 2003 &egrave; ancora nel team Tech3 con la M1. Centra un quarto posto in Francia come miglior risultato e chiude al 12&deg; posto con 71 punti, dieci in meno di un anno prima. A fine stagione saluta Tech3 e Yamaha per accasarsi in Moriwaki nel ruolo di tester.  Con Moriwaki disputa, nel 2004, le gare di Giappone e Valencia arrivando 11&deg; proprio in casa di Moriwaki. A fine stagione accetta l&rsquo;offerta di Kawasaki per la stagione 2005 nel ruolo inizialmente di tester della moto di Akashi.  Nel 2005 il titolare in Kawasaki &egrave; Alex Hofmann ma alcune defezioni del pilota tedesco portano Jacque a debuttare sulla verdona. Disputa 7 gare (Cina, Francia, Germania, Malesia, Qatar, Australia e Turchia) cogliendo un incredibile primo podio in carriera in Top Class proprio in Cina sul bagnato alle spalle di Valentino Rossi. Chiude 17&deg; con 28 punti.  Gli ultimi anni   Nel 2006 torna a fare il collaudatore per Kawasaki sperando in un posto da titolare nel 2007. Posto che effettivamente arriva al fianco del connazionale De Puniet. Va a punti solamente nella gara iniziale in Qatar e, tra infortuni e gare alle quali non si qualifica, il 22 giugno annuncia il ritiro dalle competizioni con effetto immediato a causa dei problemi fisici.  Che fine ha fatto: Noriyuki Haga 

Lasciamo il Giappone e voliamo in Francia per parlare del numero 19 pi&ugrave; famoso del Motomondiale, ex campione della 250 nel 2000 dopo una sfida all&rsquo;ultimo sangue con il compagno di squadra Shin&rsquo;ya Nakano

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